Un anno bellissimo

Sarà un anno bellissimo, una ripresa incredibile ci attende. L’ottimismo di Conte fa parte del ruolo ed è comprensibile anche per quei sabotatori che credono nel realismo dei numeri, non si fanno illusioni sul boom economico made in Di Maio o non hanno fiducia sugli effetti delle misure portento: quota 100 e reddito di cittadinanza. Il fatto è che l’Italia è in recessione tecnica. Per cause esterne, per debolezze proprie come un debito pubblico proibitivo per gli investimenti. Il fatto è che la realtà è quella descritta al Forex dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco: senza "risultati consistenti sul piano strutturale" attraverso le riforme "quelli che a livello internazionale sono rallentamenti di natura congiunturale tendono da noi a trasformarsi in un ristagno o in un calo dell’attività produttiva". Guai a rassegnarsi, ma l’ottimismo della volontà fatica a vincere il pessimismo della ragione: il Centro studi di Confindustria prevede che il 2019, nel migliore dei casi, avrà una crescita poco sopra lo zero e stima un effetto manovra solo dello 0,4%. Tagliano le stime sulla crescita Via Nazionale e il Fondo monetario. L’Ocse è sulla stessa strada. Tutti sabotatori? Ha ragione Visco quando individua nello scontro con l’Ue sulla manovra l’effetto negativo sulla domanda interna e sullo spread. E non è smentibile se afferma che "l’incertezza sulla politica di bilancio non si è dissipata". Il governo esorcizza la manovra correttiva, ma il rallentamento economico mina il quadro di finanza pubblica sul quale si è trovato l’accordo con Bruxelles. In ballo rimangono le clausole di salvaguardia come l’aumento dell’Iva, scongiurato solo per quest’anno.

Il fatto è che la crescita chiede altro rispetto a quanto messo in manovra. Ci sono quasi seicento opere bloccate dalla burocrazia, lavori che valgono 36 miliardi. Dice niente la parola Tav? Servirebbero investimenti? Sì. Rispetto al 2009 – secondo una ricerca dell’osservatorio Impresalavoro – l’Italia ha tagliato del 37,1% la spesa pubblica per investimenti, passando dai 54,1 miliardi del 2009 ai 34 miliardi del 2017. Quanto ai bisticci sulle colpe c’è solo l’imbarazzo della scelta. Dare la colpa a chi c’era prima è ciò che fanno più o meno tutti i manager al momento della nomina. Funziona fino a quando gli azionisti di maggioranza – o gli elettori – continuano a darti fiducia.