Quando la vita è una tortura

Andrea Cangini

Andrea Cangini

DOPO tre anni trascorsi paralizzato a letto, completamente cieco e in nulla più padrone del proprio corpo, dj Fabo ha scelto di morire. È dovuto andare fino in Svizzera e lì ha detto basta. Basta dolore, basta angoscia, basta tormento. Una scelta sofferta, una libera scelta. Un caso di eutanasia, pratica vietata in Italia. Vietata perché per la Chiesa cattolica l’uomo non ha né deve avere l’ultima parola: l’ultima parola spetta solo a Dio. Chi scrive ritiene invece che il suicidio sia un diritto naturale dell’uomo e che si possa arrivare a pensarlo e poi, eventualmente, a metterlo in pratica per un eccesso di debolezza come per un eccesso di forza, spinti dal coraggio così come dalla vigliaccheria. Dipende. Certo è che a vietarlo sono solo gli Stati etici e quelli teocratici. Occorrerebbe una legge per assicurare la fruizione di tale diritto quando c’è la volontà ma non ci sono le forze. Quando non si è più padroni del proprio corpo, quando il dolore o l’umiliazione superano la soglia del tollerabile, quando si sopravvive solo grazie a una macchina.  

PERCIÒ consideriamo inaccettabile l’eutanasia per chi si trova nelle condizioni di potersi uccidere da solo. Chi può suicidarsi e non lo fa, non vuole in realtà morire. Non se la sente, non è pronto. E non c’è ragione di “aiutarlo” come avviene invece in Svizzera o altrove. Togliersi, dunque, il cappello col massimo rispetto di fronte a chi sceglie di andare avanti nel dolore; consentire a chi non ce la fa più di affrancarsi dalle macchine che lo incatenano a un simulacro di vita: non c’è conflitto, sono due modi onorevoli di intendere l’esistenza. E perciò anche la morte. Ma è inutile illudersi, nella cattolica Italia l’eutanasia non verrà consentita: la maggioranza dei cittadini è favorevole, ma l’élite politica non sfiderà mai le ire vaticane. Vi è però un disegno di legge sul testamento biologico che giace alla Camera volto a scongiurare l’accanimento terapeutico, e su questo anche la Chiesa potrebbe infine ricredersi. Ci sarebbe una logica, dal momento che nella visione cattolica la vita umana appartiene a Dio, non alla tecnica né alla scienza.

COSÌ non fosse, sarebbe difficile osteggiare pratiche come la fecondazione assistita o la ricerca sulle cellule staminali. Si richiede solo un po’ di coerenza, anche perché la morale individuale è in continua evoluzione. Sono passati quasi vent’anni da quando mia madre si ritrovò segregata in una terapia intensiva. Dopo tre mesi di calvario a seguito di un’operazione sbagliata, dopo averla vista perdere la funzionalità di organi vitali, dopo averla osservata impotente strapparsi i tubi di dosso e implorare la morte, chiesi al primario del Fatebenefratelli se ci fosse stata una sola possibilità di vederla uscire di lì viva. Rispose di no. Chiesi se soffriva. Rispose di sì. Chiesi, infine, supplicandolo, di tenerla almeno sedata fino alla fine: rispose che la sedazione avrebbe indebolito il cuore, che la morte avrebbe guadagnato tempo e che perciò la sua «coscienza di cattolico» gli impediva di accontentarmi. Fui costretto ad accettare quella che considerai una violenza inaccettabile, una tortura fine a se stessa. Sono sicuro che oggi quello stesso medico ragionerebbe diversamente.