Penati e gli altri. Ecco la nostra colonna infame

È morto Filippo Penati, ex sindaco di Sesto San Giovanni e dirigente di primo piano del Pd. È morto di cancro, di un cancro che aveva scoperto un anno e mezzo fa e che considerava – almeno in parte – conseguenza dei suoi guai giudiziari. Nel 2011 lo avevano accusato di un grande giro di tangenti per il quale inquirenti e giornalisti avevano trovato, comme d’habitude, un nome ad effetto: "Sistema Sesto".

Da quelle accuse, Penati era stato quasi completamente scagionato: di sicuro, s’era dimostrato che non era quel malfattore che si volle far credere. Ora, noi non sappiamo se il bastardo male che l’ha ammazzato sia davvero stato provocato dal dispiacere per essere finito alla gogna. Umberto Veronesi dubitava, e molto, del nesso fra psiche e tumore. Molti altri oncologi invece dicono che quel nesso c’è eccome. A memoria, direi che il primo a sostenere di essersi ammalato a causa di un ingiusto calvario giudiziario fu Enzo Tortora.

Di sicuro sappiamo che Penati ha cominciato a morire quando si è visto dare del ladro, quando si è trovato a dover cambiare tutte le sue giornate, spese da allora in poi solo a guardare carte e sentire avvocati; quando ha dovuto lasciare la politica, quando tutti lo hanno scaricato. E così Tortora, sicuramente, cominciò a morire quando lo arrestarono di notte con la folle accusa di essere un trafficante di droga, e poi la mattina dopo lo fecero uscire dalla gattabuia per sfilare ammanettato, ad uso del telegiornale, in mezzo ai carabinieri. E così sono morti tanti altri sbattuti in prima pagina come mostri, ladri, tangentari, casta e così via, in omaggio a una bulimia giustizialista che ha avvelenato il Paese almeno da venticinque anni a questa parte. Morti: sono tutti morti anche se non hanno avuto il cancro, anche se sono ancora vivi. Sono morti perché magari, anche solo per un avviso di garanzia, politici che si dicevano antipolitici (e che oggi sono al potere) e giornalisti che hanno fatto carriera li hanno marchiati per sempre come mascalzoni, infliggendo loro l’ergastolo sociale, l’esclusione dal consesso civile. Ed è su questa storia della colonna infame che ci fa riflettere, oggi, la notizia di una morte come tante.