
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, 48 anni fa, con la figlia Ginevra, 8 anni
Una decina di anni fa, Umberto Eco aveva visto giusto. "I social danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività". Oggi le cose sono peggiorate: le legioni di imbecilli sono aumentate, e al loro interno crescono falangi di individui pericolosi, quelli che strizzano il cervello di un’adolescente fino a portarla al suicidio, o minacciano i figli di esponenti politici, preferibilmente di governo, ma non solo. E usiamo non a caso la parola minaccia, perché augurare alla figlia della premier, Ginevra, di fare la stessa fine di Martina, uccisa a pietrate dall’ex ragazzo, assomiglia molto al comportamento descritto nell’articolo 612 del Codice penale. Stesso discorso vale per analoghe esibizioni di barbarie emerse nei confronti dei figli di Tajani, Salvini e Piantedosi, come hanno denunciato in altre occasione anche Boldrini e Renzi. Con Ginevra si è salito un altro gradino nella scala che dalla imbecillità porta diritta al crimine. Il che induce a un paio di considerazioni.
Primo: il prof autore del messaggio a Ginevra, va licenziato. Non può fare l’educatore un tizio che forse non vale neppure la pena di rieducare. Secondo. Non nascondiamoci dietro il dito dei social, che sono solo uno strumento: è come mettere all’indice i coltelli perché si usano anche per ammazzare. I social esistono, e servono leggi internazionali che li regolino; servono famiglie che educhino i figli; serve una cultura collettiva che non spinga gli adulti al livello di quel "docente" o peggio; serve in primis che la politica cambi il registro ora fatto spesso di parole pesanti, di allarmi strumentali, di toni esagerati. Quelli che fanno uscire le menti più deboli dai binari del dibattito civile, della diversità accettata, per attizzare odio, accendere fuochi di violenza. Gli imbecilli di ieri. I possibili killer di domani.