Meloni dalla Cgil, la mossa di Landini: meno ideologia più temi concreti

La premier al congresso del sindacato invitata dal segretario generale. E' doveroso chiedersi: che significato ha avuto e avrà tutto questo? E quali conseguenze è giusto aspettarsi da questa scelta?

L'editoriale di Agnese Pini

L'editoriale di Agnese Pini

Giorgia Meloni sul palco della Cgil: un fatto storico, così l’hanno definito. Certamente lo è: non tanto perché sono passati ben 27 anni dall’ultima volta in cui un premier (fu Romano Prodi) è salito su quel pulpito. La storicità di quanto accaduto venerdì a Rimini sta soprattutto nello spartiacque che inevitabilmente rappresenta: la premier del governo più a destra di sempre è stata legittimata come interlocutore politico dal sindacato che le è maggiormente avverso, da un punto di vista culturale, storico, ideologico. Una cosa non da poco, voluta e organizzata dal segretario rieletto plebiscitariamente giusto ieri, Maurizio Landini.

Ora è doveroso chiedersi: che significato ha avuto e avrà tutto questo? E quali conseguenze è giusto aspettarsi?

Non certo quella di una maggiore condivisione delle posizioni in campo sui temi più caldi, dalle politiche del lavoro a quelle fiscali. Meloni è stata chiara, venerdì: nessuna apertura alle richieste sindacali. Landini è stato altrettanto chiaro ieri, evocando lo sciopero generale contro la legge delega sul fisco. E nessuno poteva aspettarsi qualcosa di diverso. Eppure c’è un tema da non sottovalutare, e questo sì segna una svolta rispetto al passato anche recente: nei mesi in cui l’opposizione ha più volte evocato lo spettro del ritorno al fascismo e della deriva antidemocratica, l’apertura di Landini, la presenza di Meloni su quel palco, il rispetto (gelido, certamente gelido) dei delegati di fronte alla premier, rappresentano una svolta nei rapporti istituzionali fra l’esecutivo e i corpi intermedi.

È stato un esercizio di concretezza: da parte di Landini, che con il suo invito, solo in apparenza spiazzante e controverso, ha automaticamente spazzato via ogni potenziale accusa di pregiudizio ideologico contro questo governo, consentendogli di intavolare un’opposizione pur dura ma sui temi, e non sulle convinzioni aprioristiche. Stessa considerazione si può fare per Meloni, che ha messo l’istituzionalità del suo ruolo davanti alle istanze di partito. Si apre dunque, forse, una fase nuova. E sì: anche questa è storia.