L'autocritica. Parliamo troppo di Covid-19. E non va bene

Parliamo troppo di questa epidemia? Massimo Fini, grande giornalista e spirito ribelle, ha lanciato ieri – in un’intervista al nostro Massimo Cutò – un atto d’accusa contro la categoria cui egli stesso appartiene. Dice che i giornali, da nove-dieci mesi a questa parte, si occupano quasi esclusivamente di Covid. Difficile dargli torto. Oggi a pagina tre raccontiamo come l’epidemia è seguita nel resto del mondo: in modo molto, molto meno invasivo. Probabilmente è arrivato per noi tutti il momento dell’autocritica. L’overdose di Coronavirus sui media ha due motivazioni e due conseguenze. Vediamo quali.

La prima motivazione è molto banale: la pigrizia. Cioè il riflesso condizionato con cui a volte confezioniamo i giornali. C’è una notizia che domina, la gente parla soprattutto di quello, e noi andiamo dietro. Cercare altre storie è troppo faticoso. La seconda motivazione, che Massimo Fini ha sottolineato con lucidità, è la perdita del senso della morte (e quindi della vita) che ormai da un pezzo caratterizza la nostra società secolarizzata: occidentale in generale e italiana in particolare. Abbiamo rimosso dal nostro orizzonte l’unica cosa certa che ci aspetta: la morte, appunto. Viviamo di cose materiali, senza più credere in nulla e tantomeno in una vita dopo la morte. I cosiddetti Novissimi (morte giudizio inferno e paradiso) erano un cardine del cristianesimo e della cultura popolare: ma nessuno sa più neppure che cosa significhi, quella parola. Così, qualunque evento ci ricordi la non gradevole incombenza del trapasso, ci terrorizza. I nostri predecessori hanno convissuto con guerre, pestilenze e carestie: noi ci paralizziamo di fronte a una malattia con un tasso di letalità molto inferiore. Nel 1956 e nel 1970 ci sono state, in Italia, epidemie non dissimili da questa: ma provate a sfogliare i giornali o rivedere i telegiornali di allora.

E veniamo alle conseguenze. La prima è che, così facendo, stiamo contribuendo a terrorizzare la gente più del dovuto. La seconda è che non stiamo raccontando la realtà, che è fatta anche di molte altre cose, e non tutte negative, anzi. Proprio perché non siamo complottisti (lo abbiamo scritto l’altro giorno), proprio perché il virus esiste davvero (purtroppo) e ha messo in difficoltà i governi del mondo e non solo il nostro, dobbiamo cercare di affrontarlo senza nascondere nulla, ma stando nella realtà, che non è fatta solo di morte e disperazione. C’è molto di positivo e molta speranza, anche nel nostro tempo. Cercheremo di raccontarlo.