Il rimpallo delle scelte con Roma. Alle regioni piace il federalismo senza coraggio

Alla vigilia delle elezioni politiche del 2001, Massimo D’Alema (che ne attribuisce la responsabilità a Rutelli e Veltroni) patrocinò la modifica del titolo V della Costituzione. La ragione? Sedurre la Lega, che lo stesso D’Alema aveva definito "costola della sinistra", e togliere voti al centrodestra.  Berlusconi stravinse ugualmente, ma intanto - con soli tre voti di maggioranza - alle regioni furono attribuiti poteri immensi che stanno portando alla disastrosa situazione di oggi. S’intenda: il Veneto ha fatto un uso eccellente dell’autonomia nella sanità e Zaia la vorrebbe estesa alla scuola e ad altro. 

Ma l’Italia è lunga e pasticciata e ha ragione Renzi a rivendicare la clausola di un referendum che perse perché volle che si votasse sul bambino e l’acqua sporca. L’acqua sporca era una pessima riforma del Senato. Il bambino un monocameralismo di fatto e una revisione del titolo V con una ‘clausola di supremazia’ del governo sulle regioni a tutela dell’interesse nazionale.

Si sta ripetendo quello che accadde in marzo quando fu ritardata la chiusura di Nembro e Alzano perché governo e regione Lombardia speravano che la decisione fosse assunta dall’altro, pronti a rinfacciargliela. In realtà, anche nella Costituzione vigente c’è un comma dell’articolo 120 che prevede i poteri sostitutivi dello Stato in campo di sicurezza pubblica e di tutela dei servizi essenziali delle prestazioni. Messo alle strette, il governo potrebbe invocarla. In Germania i 16 lander hanno una autonomia maggiore delle regioni italiane e statuto ordinario, ma nell’emergenza del Covid si è ascoltata una voce sola, quella della Markel. Conte ha il dovere di sentire le regioni, ma eserciti la sua leadership fino in fondo anche a costo di una impopolarità che comunque gli sta cadendo addosso (per la prima volta) perché nella confusione generale la colpa è sempre di chi comanda a Roma.

Due avvertenze. Prima: le tecnologie consentono di avere i dati in tempo reale. Se cinque regioni, come è accaduto, li forniscono in ritardo, prendano il cartellino arancione o rosso. Seconda: una chiusura nazionale non avrebbe senso come non ne ha la distinzione per regioni. Un solo esempio: il virus oggi a Bergamo colpisce molto meno che a Milano. Si decida per province o addirittura per comuni. La cornice l’ha costruita il governo. Il quadro può dipingerlo ogni settimana il ministro della Salute. Lo faccia con equilibrio e precisione, anche per evitare che il Piemonte lo accusi di aver voluto favorire la Campania.