Mercoledì 24 Aprile 2024

Il logorio del potere. Così lo stress ha cambiato il viso di Conte

Non so se avete fatto caso all’espressione del volto del premier negli ultimi giorni. Rispetto al Conte di quest’estate, è quasi irriconoscibile. Nelle settimane in cui respingeva l’assalto di Salvini, i suoi lineamenti trasmettevano forza, serenità, perfino un certo distacco. Il 20 agosto, al Senato, mentre il leghista cercava di affastellare argomenti per attaccarlo, il professor Conte replicava appunto da professore: serafico e autorevole, con quel linguaggio dotto e un po’ desueto da signore del Sud. Adesso invece il suo volto è tirato; la risposta piccata; perfino paiono più radi i capelli, così sempre ben pettinati. È lo stress.

L'altro ieri, in Umbria, ai giornalisti che gli chiedevano se la manovra danneggi le partite Iva, Conte ha risposto duro, seccato e soprattutto irritato: "Fesserie". Lo stesso termine lo ha ripetuto quando gli è stato chiesto di un possibile confronto fra lui e Salvini: "Fesserie". Pochi minuti dopo, sempre commentando una frase di Salvini, ha risposto: "Stupidaggini". Dov’è finito quell’aplomb un po’ british e un po’ salentino che ci aveva fatto sperare di aver finalmente trovato un politico che non cede alla dittatura della rissa e dell’insulto? Uno statista dai nervi saldi?

La verità - temo - è che Andreotti avesse ragione soltanto a metà quando diceva che il potere logora chi non ce l’ha. Se non si è un Andreotti, se insomma non si è dotati di quel potere di autocontrollo che non si capisce bene quanto sia angelico e quanto mefistofelico, dal potere si viene logorati, eccome. Giuseppe Conte ha resistito alla grande - e non si sa come abbia fatto - facendo da arbitro e da paciere a due alleati litigiosi come Lega e Cinque Stelle; ma ora che ha a che fare con un governo ancora più “suo” (la prima volta fu premier per caso) e in un contesto internazionale apparentemente molto più favorevole, la tensione si fa sentire, eccome. Colpa anche e soprattutto, purtroppo, di una propensione alla guerriglia che la nostra politica non riesce a scrollarsi di dosso.

Al presidente Conte, del quale abbiamo ammirato finora la moderazione, suggeriamo di imparare dalla flemma di Winston Churchill. Un giorno che lady Astor, una deputata dell’opposizione particolarmente impertinente e aggressiva, finì il suo discorso dicendogli "Se io fossi sua moglie, le metterei del veleno nel tè", Churchill replicò: "E se io fossi suo marito, lo berrei".