Politicamente corretto, troppo politico, strumentalmente politico, politicizzato, arcipolitico, fantapolitico. Mai si era scomodata così tante volte la parola “politica” per parlare di un festival canoro. Sanremo, di tutto di più. Si è detto e si è letto infatti che il palco dell’Ariston è: la terza Camera del parlamento, il cuore della propaganda bellica pro Zelensky, la vera e unica opposizione nel Paese, si è detto che è lo specchio del Paese reale e al tempo stesso si è detto che non è affatto lo specchio del Paese reale ma della sua nicchia radical chic (che comunque è una nicchia che vale in media dieci milioni di italiani a sera).
Si è detto che è femminista e che invece è maschilista (femminista perché c’erano le donne co-conduttrici, maschilista perché le donne co-conduttrici sono state costrette a monologare nella poco lusinghiera seconda serata) e perfino che Letta dovrebbe andare a scuola da Fedez o da Amadeus (forse il riferimento era alla scelta delle giacche?), dunque va a finire che Fratelli d’Italia chiede la rimozione di metà dei vertici Rai.
La verità è che in questo Paese da sempre - e per “da sempre” intendo: “da quando c’è Sanremo” - la settimana del festival diventa il filtro ottico da cui disgraziatamente, o inevitabilmente, media, commentatori, governi e partiti misurano il mondo. Perdendo spesso il senso della misura. Così, se Sanremo racconta e rimastica tutto ciò di cui e per cui vale la pena parlare nelle sue cinque interminabili notti, è chiaro che il mondo reale, attorno, dà la sensazione di fermarsi. Pensateci. L’anarchico Cospito sta continuando a lasciarsi morire di fame in carcere ma è magicamente sparito da ogni urgenza politico-giudiziaria, la Bce prosegue ad alzare i tassi ma sembra che il problema sia per noiosi parrucconi, Volodymyr Zelensky se ne è andato a spasso per l’Europa innescando vere o presunte gelosie a catena (i francesi se la sono presa con gli inglesi perché lo hanno invitato prima degli altri, gli italiani se la sono presa coi francesi perché non sono stati chiamati al bilaterale con la Germania) ma noi abbiamo continuato a parlare della letterina che al posto del presidente ucraino ha letto Amadeus-detto-Ama dal paillettato palco dell’Ariston alla una e trenta di notte (giusto per evitare che lo potessero ascoltare in troppi), infine Meloni e Macron aprono un incidente diplomatico che ha pochi precedenti e comunque la cosa “non buca” - come dicono i televisivi, per restare in tema - quanto sarebbe normale che fosse.
O forse la verità è che la politica quella reale e non paillettata ci interessa così poco sempre e da sempre (da prima di Sanremo). O meglio: ci interessa molto quando è varietà, e molto poco quando è serietà.