Venerdì 19 Aprile 2024

Dedicato a chi vuol buttare via la chiave

Il lavoro dentro il carcere

Michele Brambilla

Michele Brambilla

Che marcisca in galera! Quante volte sentiamo un’esclamazione del genere? Ecco, vorrei rassicurare il nutrito plotone dei giustizieri: in cella si marcisce davvero. Si resta dentro ventidue ore al giorno, in spazi stretti e lasciamo perdere le condizioni igieniche: anche il pranzo e la cena si consumano in cella, le tavolate dei detenuti che mangiano insieme sono roba da film americani. Soprattutto, in cella non si fa niente. Niente. Il tempo scorre inutilmente, senza significato. E allora: come volete che si senta un essere umano che si trova a vivere questa condizione? Bastano pochi mesi per abbrutirsi per sempre.

Intanto, così trattato, il detenuto si convince di essere più vittima che colpevole: e quindi non si rende conto del male commesso. Pensa al male che patisce lui e si ritiene in credito, non in debito, con la società. Poi, quando esce di galera, cosa fa? Ha buttato via il tempo, non ha imparato niente, si sente guardato con diffidenza – anzi, evitato – da tutti, trovare un lavoro è quasi impossibile. Il risentimento cresce. E si torna a delinquere. Ecco perché la recidiva in Italia è così alta: ufficialmente intorno al 70 per cento, in realtà ampiamente oltre il 90, perché molti reati compiuti da ex detenuti non vengono scoperti e la statistica viene falsata.

A che cosa serve tutto questo? Forse placa la sete di vendetta ma non serve a nessuno, neanche a chi grida "e che si butti via la chiave" in nome della sicurezza, perché anzi, al contrario, la società diventa così sempre più insicura.

L’Italia è tragicamente indietro nell’adempimento di ciò che è scritto nella sua Costituzione: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato". E così ci si affida al cuore degli uomini di buona volontà.

Ieri mattina a Bologna, nell’aula bunker del carcere della Dozza, si è parlato dei dieci anni della Fid (Fare Impresa in Dozza): un’azienda vera, nata dall’unione di tre concorrenti – GD, IMA e Marchesini Group – che hanno portato una parte della loro produzione all’interno del carcere. E così ci sono detenuti che lavorano, addestrati da pensionati e assunti in regola: pagano le tasse, mandano i soldi a casa e quando escono hanno un lavoro e un futuro. E la recidiva crolla. Troppo spesso si dimentica che la privazione della libertà è già essa stessa la pena: non bisogna aggiungere la privazione della speranza.