Questa è la crisi di una intera classe politica

Il sistema debole

L'editoriale di Agnese Pini

L'editoriale di Agnese Pini

È l’ora più buia. Perché ieri è emersa non l’immagine di un governo in crisi, bensì di un’intera classe politica in crisi. È stato chiaro, ieri, quanto questo Parlamento sia staccato dalle esigenze del Paese, che forse non si è mai sentito così male e così poco rappresentato dai suoi eletti.

Draghi, dimissioni irrevocabili: perché è caduto il governo e le tappe verso il voto

Il Parlamento più populista – per compagine numerica – della nostra storia repubblicana è riuscito nell’impresa di ignorare le speranze di una larga fetta della società civile – che negli ultimi cinque giorni aveva chiesto con appelli e raccolte firme di non staccare la spina alla premiership di Draghi – consegnandoci una lezione preziosa: la buona politica non è quella che seduce le folle, ma quella che sa mantenere una rotta di coerenza nelle idee e nei principi. Così ieri M5S, Forza Italia e Lega hanno voltato le spalle a Mario Draghi sostanzialmente per un motivo: nel suo discorso in Senato, il presidente del Consiglio ha ribadito alcuni punti fermi, gli unici intorno ai quali si può costruire un governo di unità nazionale. Ovvero: no agli ultimatum, e dunque no ai ricatti dei singoli partiti. Il premier non poteva essere più chiaro nel delineare il perimetro entro il quale avrebbe condotto la sua azione di governo nei prossimi sei mesi, fino alla scadenza naturale della legislatura. Non ha cercato di venire incontro alle istanze dei leader, ai personalismi, alle richieste a mezza bocca. E i partiti lo hanno punito. Il problema adesso non è certamente se, come e quando verrà anticipata la data delle urne. Il problema è la confusione dentro cui si agita una classe dirigente che ha mostrato di non saper costruire idee e progetti politici nuovi: dal campo largo progressista a una coalizione di centrodestra che fatica a trovare un vero collante. Una classe dirigente che in questo deserto ha innescato la miccia delle "dimissioni irrevocabili" di Draghi lasciandoci la sensazione di non avere chiaro l’obiettivo verso cui vuole portare il Paese. Un obiettivo che non guardi il tornaconto del singolo partito. Ma il tornaconto dell’Italia.

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