Mercoledì 24 Aprile 2024

Coronavirus, la fretta è una cattiva consigliera

Domenico Arcuri, il commissario all’emergenza, ha riportato ieri un dato che non ci saremmo mai immaginati, almeno fino a qualche tempo fa.  «Tra l’11 giugno 1940 e il 1° maggio 1945 – ha detto – a Milano sono morti sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale duemila civili. In cinque anni. In due mesi, in Lombardia per il Coronavirus sono morti 11.851 civili, cinque volte di più».  E’ un confronto impressionante, e purtroppo inesatto per difetto, perché i morti in Lombardia sono stati almeno il doppio. Solo a Bergamo, le vittime reali di Coronavirus sono il quintuplo di quelle ufficiali.

Va aggiunto che le bombe non sono contagiose e la guerra, quando finisce, finisce. Questo virus invece è molto contagioso e la sua fine non è nota. Uno studioso israeliano al quale sono affidate importanti questioni di sicurezza, il matematico Isaac Ben Israel, sostiene che scomparirà a settanta giorni dalla sua apparizione, e voglia Iddio che sia così. Ma, in mancanza di riscontri, i dati sui contagi e sui morti ci dicono che una certa smania di riaprire subito tutto (o quasi) è quantomeno azzardata. Come ha detto il presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, ripartire è vitale ma non possiamo permetterci di farlo se non in condizioni di una ragionevole sicurezza, che adesso ancora non abbiamo.

E non si tratta solo di salvare vite umane (pur se basterebbe quello): si tratta anche di tutelare davvero – davvero! – aziende e posti di lavoro. «Dobbiamo capire che è clamorosamente sbagliato – ha detto ieri Arcuri – comunicare un conflitto tra salute e ripresa economica. Senza la salute e la sicurezza, la ripresa economica durerebbe come un battito di ciglia». Direi che lo capisce anche un bambino, ma purtroppo c’è chi non capisce. Colpisce ad esempio che le pressioni per riaprire al più presto vengano dalla Lombardia, la regione più martoriata del mondo; che vengano dal suo governatore, lo stesso che fino a pochi giorni fa accusava Roma di non avere chiuso abbastanza; e che vengano da quegli imprenditori della Bergamasca che dovrebbero riflettere su quanto è costato non fermarsi prima.

«Quanta fretta ma dove corri, dove vai», cantava Edoardo Bennato. Non siamo così ingenui da non capire quanti danni abbia fatto, alle aziende e agli esseri umani, questo lockdown. Ma non è questione di ingenuità, e non è neanche questione di “primum vivere”. E’ questione di realismo. E anche di lungimiranza.