Coronavirus, da dove nasce la paura degli italiani

Qualche giorno fa un avvocato di cui non ricordo il nome, per conto di un’associazione di cui non ricordo il nome, ha denunciato alcuni quotidiani per procurato allarme, accusandoli di aver seminato il panico sulla faccenda del Coronavirus. Dare la colpa ai giornali, da sempre, è come dare la colpa al governo quando piove. Siamo un bersaglio facile. La mia prof di storia del giornalismo all’università diceva che quando Mussolini teneva i suoi primi comizi nel Forlivese la gente del posto, che lo conosceva bene, per metterlo a tacere gli gridava “Zurnalesta”. Cioè giornalista, e quindi contaballe per definizione.

"Giornalista’’ era, per il futuro Duce, peggio che traditore del socialismo, peggio che venduto ai padroni. Era l’offesa più grave, l’unica che lo metteva a tacere. Già allora, in un’Italia in cui a saper leggere erano in pochissimi, la categoria godeva di pessima fama. Con il passare degli anni la nostra reputazione è perfino peggiorata. "L’Italia assassinata dai giornali e dal cemento", cantava De Gregori nel 1979. E forse qualche esame di coscienza ce lo dobbiamo fare.

Ma che si sia stati noi a procurare allarme sul Coronavirus, è davvero grossa. È successo infatti che un venerdì sera, al termine di una giornata con una sessantina di contagiati (uno su un milione di cittadini) il governo e le regioni hanno ordinato un coprifuoco che non ha precedenti nella storia d’Italia. Tutto chiuso: scuole cinema teatri musei chiese stadi (i ristoranti no, e non si capisce bene perché: comunque meglio così, non svegliamo il cane che dorme). Sicuramente non si poteva fare altrimenti. Ma è stata questa serrata, mai vista neppure in guerra, a seminare il panico: non i giornali, che ne hanno semplicemente dato notizia.

Certo pure noi abbiamo fatto titoli sulla Grande Paura: ma la Grande Paura era un dato di cronaca, e i giornali fanno cronaca. A spargere il terrore, semmai, sono stati certi audio circolati - naturalmente anonimi - su Whatsapp, e le idiozie complottiste diffuse sui social dai soliti che ve le diciamo noi le cose come stanno davvero. E se c’è stato qualcuno, nei giorni successivi, che ha invitato alla calma e alla lettura della realtà, ad esempio scrivendo che non ci sono morti ”per” il Coronavirus ma morti “con” il Coronavirus, ebbene ecco, quelli siamo stati noi. Lo so che non è bello parlarsi addosso. Ma insomma, quando ci vuole ci vuole.