Coronavirus, come stare con i nostri figli preoccupati

Qualche anno fa una donna andò a confidarsi con un sacerdote. Suo marito stava dando i numeri, anche con atteggiamenti violenti, e lei non era preoccupata tanto per sé, quanto per i suoi figli. "Come faccio - chiese al prete - a preservarli da questa sofferenza?".

Il sacerdote le rispose così: "Il primo ricordo cosciente che ho di me è di quando avevo quattro anni e stavo sulle ginocchia di mia madre nella cantina di casa nostra, in Valtellina, mentre gli americani ci bombardavano. Funzionava così: appena arrivavano gli aerei, le donne andavano nelle cantine con i bambini, e gli uomini stavano su, nascosti accanto agli alberi. Stavano su, all’aperto, per poterci venire a tirare fuori dalle macerie se una bomba fosse caduta su una casa. Stavano su, all’aperto, per evitare alle donne e ai bambini di fare la fine dei sorci. E stavano tutti a dovuta distanza l’uno dall’altro per essere certi che qualcuno di loro sarebbe comunque sopravvissuto. Intanto, in cantina, le donne con i bambini sulle ginocchia recitavano il rosario. Ricordo le preghiere interrotte dalle bombe. “Ave Maria.... bum. Piena di grazia... Bum“. Ad ogni bomba la preghiera si fermava, e poi ripartiva".

Che cosa c’entrava questo racconto con la storia di quella donna che voleva preservare i propri figli da un padre violento? C’entrava per esprimere questo concetto: che le bombe, sulla testa dei nostri figli, cadranno tante volte, nella vita; che le difficoltà, i dolori, le croci ci saranno sempre, inevitabili. Ma l’importante è che i nostri figli possano conservare la memoria di come stavamo noi genitori, sotto le bombe. Quel prete aveva memoria di un padre che sfidava i bombardieri per poterlo andare poi a prendere; e di una madre che non smetteva mai di pregare, di sperare.

Scrivo tutto questo pensando all’ansia di tanti nostri figli oggi al tempo del Coronavirus. Sembra paradossale, ma nonostante l’età media dei morti (81 anni) li escluda dal pericolo, sono più preoccupati di noi. O forse sono preoccupati per noi, per i papà le mamme e i nonni che sono più a rischio. Sono cresciuti in un’epoca senza troppe angustie, senza troppe variabili a quella che appariva come una sorta di comfort zone. E ora sono più impauriti di noi, che pure siamo già la prima generazione a non aver mai visto una guerra. Per aiutarli, non dobbiamo fare altro che dare l’esempio, e far vedere come si sta sotto le bombe della vita.