Che cosa manca per un nuovo miracolo italiano

Non si vive di solo Pil

Stiamo per rivivere un nuovo miracolo economico italiano, come quello dei primi anni Sessanta, quelli del “boom“? C’è un dato che farebbe pensare di sì. Il nostro Pil (prodotto interno lordo: è l’indicatore – lo dico in parole semplici – dello sviluppo di un Paese) è cresciuto quest’anno del 6,3 per cento sull’anno scorso: un dato che non si registrava da tempo immemorabile. Ma non solo: in Europa nessun altro Paese è cresciuto come noi. E nel mondo pochissimi altri. Qualcuno obietta: attenzione, partivamo da un -8 per cento, tragico bilancio del Covid e dei suoi lockdown: una congiuntura dannosa, s’è detto, come quella di una guerra.

Ma anche l’Italia del boom veniva da anni di depressione. La guerra - quella vera - l’aveva distrutta. E il dopoguerra era stato lungo, molto lungo. Gli anni Cinquanta cominciavano a registrare una crescita, ma restavamo un Paese povero, in larga parte poverissimo. Si pensa sempre al Sud. Ma ho in mente una delle più belle canzoni di Enzo Jannacci, “El me indiriss“. Racconta della casa della sua infanzia a Milano, "tripli servissi, sì, ma in mezz al prà", che vuol dire tripli servizi igienici, ma in mezzo al prato. L’Italia pre-boom non aveva neanche il cesso in casa.

No, non è il punto di partenza a fare la differenza fra l’Italia di oggi e quella del miracolo economico. Tutte e due venivano da periodi grami. La differenza è un’altra: è che l’Italia dei primi anni Sessanta era un Paese allegro. Ottimista. Fiducioso. Tutti si sentivano certi che il futuro sarebbe stato migliore del presente. Oggi invece lo sport più praticato è il piangersi addosso. Anche se il nostro livello di benessere è imparagonabile rispetto a quello dell’Italia cantata da Jannacci.

Basterebbe guardare la tv. Quella di allora – in bianco e nero, un solo canale – era un’esplosione di voglia di vivere. Riguardatevi i caroselli, i varietà, le commedie all’italiana, le Canzonissime e i Sanremo, i telequiz con Mike Bongiorno che non a caso gridava "Allegria...". E quella di oggi? Nei talk show domina il rancore, l’incazzatura contro qualcuno, il gridare al complotto o allo scandalo. Tante inchieste sono meritorie, ma alla fine emerge solo il marcio. Tutti parlano male dell’Italia, l’autodiffamazione è ormai da tempo la coscienza nazionale. E il futuro? Dicono tutti la stessa cosa: i giovani staranno sicuramente peggio dei loro genitori, e quindi è meglio che vadano all’estero. "L’Italia è un Paese finito": quante volte l’abbiamo sentito dire?

Ma non si vive (e non si cresce) di solo Pil. Per volare servono ottimismo e fiducia, cose che neppure l’Europa ci può stanziare.