
Andrea Orcel, 62 anni, amministratore delegato di Unicredit dal 2021
"Chiarezza sul Golden Power, altrimenti ci ritiriamo". Andrea Orcel cambia marcia e avverte il governo che il destino dell’Ops lanciata su Banco Bpm è appeso a un filo. La pazienza dell’ad di Unicredit non è infinita e ieri lo ha fatto capire intervenendo alla Goldman Sachs European Financial Conference, dove ha lanciato un aut aut all’esecutivo che non lascia margini di interpretazione: "Se non ci dicono in anticipo cosa include il Golden Power, non ci assumiamo rischi potenzialmente da 20 miliardi. A quel punto, ci tiriamo indietro". Un avvertimento secco, in un momento in cui lo stallo normativo rischia di far deragliare una delle operazioni più significative del risiko bancario. Il punto critico, secondo Orcel, è la definizione incerta del perimetro d’azione dei poteri speciali: "Il Golden Power va chiarito, se non cambiato. Non possiamo operare con margini di ambiguità". In ballo non c’è solo Banco Bpm, ma l’intera strategia espansiva di Unicredit, che mira a rafforzarsi in Europa — Germania inclusa — pur senza compromettere l’equilibrio regolamentare.
Anche il nodo Russia si intreccia alla partita. Orcel rivendica che Unicredit non concede nuovi prestiti a Mosca dal 2022, ma segnala l’impossibilità di "chiudere in anticipo mutui ventennali" e soprattutto l’obbligo legale di mantenere i depositi esistenti, oggi sotto il miliardo. "Ci sono imprese europee che operano ancora là, e dobbiamo esserci. Ma se poi ci dicono che quei flussi rientrano nel Golden Power, il rischio diventa ingestibile". Nel frattempo, Banco Bpm ha reagito impugnando il congelamento dell’offerta deciso dalla Consob. Se il Tar del Lazio le darà ragione, l’Ops potrà ripartire. Altrimenti resterà sospesa fino al 23 giugno.
Intanto, sul fronte tedesco, si complica anche il dossier Commerzbank. Orcel conferma che Unicredit punta al 30% e prevede di poter ottenere il via libera "entro la fine del mese". Ma aggiunge che Berlino ha chiuso le porte: "Fino a dicembre eravamo i benvenuti. Ora qualcosa è cambiato, e non so dire cosa. Ma non è trasparente". Il punto, ancora una volta, è il nazionalismo economico. "Ho il dovere di proteggere l’investimento per i miei azionisti – dice Orcel – e se questo clima non cambia, potremo lanciare un’offerta, uscire o fare altro. Abbiamo tempo fino al 2027 per decidere. Ma intanto si è perso tempo. E questo non conviene a nessuno, né a noi né alla Germania".
Mentre Orcel fronteggia i paletti di Roma e Berlino, a Milano si gioca un’altra partita cruciale del risiko, con Mediobanca che va all’assalto di Banca Generali. A differenza del clima intorno a Unicredit, qui le truppe si stanno schierando: ieri Norges Bank, il più grande fondo sovrano del mondo, ha dichiarato il proprio sì all’Ops. Con lui, anche Mediolanum e i grandi fondi pensione Usa – da Calpers a Calstrs – tutti allineati al management guidato dall’ad Alberto Nagel. La partita si gioca all’assemblea di lunedì 16 giugno, dove si attende un’affluenza record dell’82%. Basterà il 41% dei voti per far passare la proposta, e Mediobanca conta sull’11,8% del patto di consultazione (compresa Mediolanum al 3,49%) e sul 2% circa di Unipol. Le opposizioni non mancano: il gruppo Caltagirone è schierato per il no, sostenuto forse da Delfin (19,8%) e da alcune casse di previdenza.
Ma Banca Generali, oltre che un’operazione industriale, rappresenta una risposta all’offensiva di Mps. Per Nagel il voto di lunedì sarà un bivio tra un futuro da banca commerciale e un percorso autonomo da gruppo del wealth management. Opinione non condivisa dall’ad di Mps, Luigi Lovaglio, secondo cui un sì a Banca Generali non fermerà l’Ops di Siena.