Venerdì 19 Aprile 2024

Terradiva, quando il bio è un affare di famiglia

La scommessa dei Lobascio vicino al Parco nazionale dell’Alta Murgia

Migration

La terra sembra proprio intenzionata a tornare la prospettiva più solida. I segnali erano chiari già prima della pandemia, ma la crisi di questi mesi ha sicuramente rafforzato il concetto. E il settore primario è la nuova vocazione di giovani imprenditori sempre più intenzionati a prendersi cura delle tradizioni investendo nell’innovazione. È quello che avviene, per esempio, all’azienda biologica Terradiva, pugliese, alle porte del Parco Nazionale dell’Alta Murgia, dove la famiglia Lobascio lavora la terra già dai primi anni del Novecento. Ventisette ettari ricoperti da circa diecimila ulivi. Olio evo, prima di tutto, ma anche mandorle, tarallini, farina di mandorle. Tutto rigorosamente bio.

Ma è grazie alle nuove generazioni che il patrimonio di famiglia diventa un’impresa capace di puntare all’innovazione, entrando così nella nuova sezione dedicata alle imprese e alla community di innovatori di Prima Observatory on Innovation, l’osservatorio web lanciato dal Segretariato italiano di PRIMA, il programma europeo che sostiene la ricerca e l’innovazione sui sistemi agroalimentari, presieduto dal professor Angelo Riccaboni al Santa Chiara Lab dell’Università di Siena. L’innovazione si traduce in pratiche e progetti. Come il frutteto digitale, per esempio, dove i clienti di Terradiva scelgono di adottare gli alberi e ricevono gli aggiornamenti dal campo ogni settimana. O il Naturflex, che ha già sostituito la plastica nelle confezioni di mandorle e presto lo farà anche per i tarallini.

"Veniamo da tre generazioni di agricoltori – spiega Angela Lobascio, co-fondatrice del marchio Terradiva – e la nostra azienda oggi è proprio un modo per valorizzare una tradizione di famiglia mettendo in campo nuove energie e nuove competenze, non solo in campo agricolo. È importante, per esempio, anche saper raccontare questo lavoro. Cosa c’è dietro, quali valori porta con sé". È con queste intenzioni che il marchio è stato varato cinque anni fa. L’intenzione è ancora una volta di andare a cercare nello stretto rapporto tra tradizione e innovazione la chiave dell’agroalimentare di qualità, quello in grado di guardare al futuro senza avere paura del mercato globale.

"Più che tradizione direi esperienza – afferma Lobascio – che è poi quella dei nostri nonni. Oggi usiamo un’applicazione che ci dice di quanta acqua ha bisogno il terreno e abbiamo sensori che misurano l’umidità, ma allo stesso tempo è importante tenere saldo il senso del lavorare la terra, sotto il sole e la pioggia". L’evoluzione tecnologica si è dimostrata essenziale soprattutto in questi tempi di Covid-19. Chi aveva già le idee chiare sul fronte digitale, per esempio, ha avuto uno strumento in più per affrontare uno scenario così terribile.

"Ci siamo trovati a congelare alcuni ordini che erano di ristoranti e piccole gastronomie – conferma Lobascio – ma dall’altra parte abbiamo visto crescere gli ordini da parte di clienti privati. E così, invece di ritrovarci a gestire pochi grandi ordini ci siamo trovati con tanti piccoli ordini. È stata una riorganizzazione interna del lavoro. E dalle persone con cui siamo entrati in contatto abbiamo notato una maggiore propensione a relazionarsi direttamente con l’azienda, con noi. Un incoraggiamento reciproco, che ci ha reso tutti più forti".

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro