Spread e rating, l'esperto: "Tempesta perfetta, rischiamo anche sotto 400"

Quadrio Curzio, professore di Economia politica all'Università Cattolica di Milano, avverte: se i mercati vendono, sarà difficile resistere Spread. Cosa succede e perché all'Italia fa così paura Spread, rating, def, deficit: il glossario - di GIORGIO CACCAMO

L'economista Alberto Quadrio Curzio

L'economista Alberto Quadrio Curzio

Milano, 11 ottobre 2018 - Spread e rating, una combinazione pericolosa, proprio mentre la manovra italiana si avvia all’esame del Parlamento, prima di essere inviata alla Commissione europea. "Il livello massimo tollerabile di spread potrebbe essere anche sotto i 400, il problema è il probabile taglio del rating", spiega l’economista Alberto Quadrio Curzio (nella foto). "Il governo dovrebbe valutare di limare il rapporto deficit/Pil, gli investitori sono preoccupati".

C’è un limite di spread oltre cui è pericoloso andare? Nel governo si ostenta sicurezza.

"Per ipotizzare un livello massimo di spread, credo che si debbano prendere in considerazione i numeri che stanno circolando in questi giorni. Cioè 400. Certo, è difficile stabilire una soglia, perché la situazione non è statica, è molto in evoluzione. E quindi la soglia si sposta".

Anche verso il basso?

"Sì, anche verso il basso, nella misura in cui la situazione diventi sempre più tesa e si materializzi il timore di qualche effetto incontrollabile".

Che cosa potrebbe rendere incontrollabile la situazione?

"Man mano che ci si avvicina al giudizio delle agenzie di rating, la delicatezza del problema diventa sempre maggiore".

Mancano poche settimane...

"Ecco, fintantoché il giudizio dista ancora 15 o 20 giorni è sempre possibile mettere in pratica rettifiche delle posizioni, ma quando poi la situazione si avvicina alla data decisiva, possono bastare anche pochi scarti di punti di spread per determinare degli effetti pesanti".

E per quanto riguarda appunto le agenzie di rating? A fine mese arriverà il giudizio delle due principali, Standard & Poor’s e Moody’s.

"Secondo me, se si scende anche solo di un gradino e l’outlook, cioè la previsione per il futuro, diventa negativo, allora molti investitori istituzionali, come i fondi pensione, si alleggeriscono dei titoli di Stato italiani in loro possesso".

Anche se tecnicamente l’Italia resta in area ‘investment’, cioè sulla carta ancora un po’ affidabile per gli investitori?

"L’ultimo gradino è quasi più una ratifica di ciò che è accaduto, che l’accadimento in sé. La Banca centrale europea non verrebbe toccata, ma i fondi istituzionali si metterebbero in una posizione di cautela".

Ma quanto è concreta l’ipotesi di un taglio del rating?

"Nelle settimane scorse si è parlato dell’1,9-2% come limite massimo del rapporto deficit/Pil come soglia da considerare, sempre con cautela, più o meno solida. Quando i mercati incominciano a entrare in fibrillazione, le previsioni diventano sempre più difficili".

Invece il governo ha fissato la soglia al 2,4%... E nella maggioranza qualcuno dice "andremo avanti anche se dovesse arrivare un taglio del rating".

"Se i mercati decidono, sulla base di loro valutazioni, di vendere i titoli italiani, diventa molto difficile opporre resistenza. Non vedo come si possa fare. La Bce non può certamente intervenire perché i suoi acquisti sono programmati".

Acquisti peraltro destinati a concludersi con la fine dell’anno.

"Appunto. Le banche italiane avrebbero un contraccolpo tremendo, con il rischio di un avvitamento nel circuito del credito alle imprese. Così anche le previsioni di crescita, già intorno all’1% e non all’1,5%, diventano più incerte".

Dunque il governo dovrebbe modificare le sue previsioni e l’impostazione della manovra?

"Non entro nel merito delle scelte specifiche, faccio solo una valutazione macroeconomica: dato il nostro enorme debito pubblico e la bassa crescita, una soluzione saggia sarebbe quella di abbassare il deficit e diluire le scelte politiche su un periodo di tempo più lungo. Poi bisogna vedere anche a che cosa serve il maggior deficit. Personalmente avrei preferito una maggiore enfasi sugli investimenti in infrastrutture, un fattore importantissimo per creare occupazione giovanile qualificata. Invece è quasi tutto indebitamento per la spesa corrente".

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