Transizione già iniziata, ma l’Italia è prigioniera dei vincoli Ue

In Italia sono in corsa ben 48 progetti di centrali a gas

In Italia sono in corsa ben 48 progetti di centrali a gas

I POLITICI ITALIANI litigano su gas e nucleare nella tassonomia verde, ma trascurano un punto importante: quali progetti avranno le caratteristiche tecniche per rientrare nelle condizioni rigorose imposte dalla Commissione europea a queste tecnologie di transizione? La risposta è stata data qualche giorno fa da una ricognizione fra le principali aziende del settore: nessuno degli investimenti italiani nelle tecnologie per la transizione energetica rientrerà nella tassonomia europea delle attività sostenibili. In Italia sono in corsa ben 48 progetti di centrali a gas, tra i quali spiccano le grandi riconversioni delle centrali a carbone di Brindisi, La Spezia, Civitavecchia e Monfalcone. Si tratta di circa 20mila megawatt nuovi da realizzare, con un impegno di spesa attorno ai 10 miliardi di euro. Ma nessuno dei progetti pare rispondere ai requisiti ambientali davvero stringenti delineati nella bozza della Commissione Ue.

Per poter entrare nella tassonomia un progetto di centrale elettrica a metano deve sostituire una centrale elettrica a carbone, deve emettere meno di 270 grammi di anidride carbonica per ogni kilowattora prodotto (oppure emettere 550 chili di CO2 l’anno per ogni kilowatt installato). Dal 2030, poi, le emissioni dovranno scendere sotto i 100 grammi per kilowattora prodotto. Le tecnologie ordinarie oggi non consentono questi risultati, se non in condizioni particolari. La tecnologia più moderna per produrre elettricità con il metano, cioè gli impianti a turbogas a ciclo combinato, emettono attorno ai 400 grammi di anidride carbonica per kilowattora prodotto. Gli unici due modi per scendere sotto i 270 grammi per kilowattora è aggiungere al metano un gas a basse emissioni (idrogeno verde oppure biometano), oppure sfruttare il calore di scarto come teleriscaldamento per edifici o per produrre vapore industriale.

Dal 2030, con lo standard di 100 grammi di CO2 per kilowattora prodotto, in sostanza si dovrà usare interamente idrogeno oppure metano non fossile, come il biogas. In alternativa, si può ricorrere all’altro standard, quello dei 550 chili di CO2 emessi in un anno per ogni kilowatt installato. Questo obiettivo alternativo potrebbe far rientrare nella tassonomia delle piccole centrali a gas ad alte emissioni, che inquinano poco solamente perché lavorano poco, non più di due o tre ore al giorno, appena per coprire brevi buchi di produzione delle rinnovabili quando non c’è sole o non c’è vento. Al momento, però, non ci sono in Italia investimenti previsti in questa direzione, perché si tratta di tecnologie più arretrate. Un vincolo meno rigoroso, per esempio con emissioni da 340 grammi per kilowattora prodotto, avrebbe premiato le centrali efficienti a turbogas, facendole rientrare nella tassonomia, ed escluso quelle più arretrate. Ma fra i politici italiani nessuno si è curato di intervenire su questo aspetto "trascurabile".

Per quanto riguarda il nucleare, si tratta evidentemente di un dibattito teorico, che serve soltanto per montare la panna della politica e non per creare valore economico, visto che questa tecnologia è stata già esclusa da ben due referendum, nel 1987 e 2011. Non c’è alcuna legge che impedisca alle aziende italiane di occuparsene e difatti l’Enel possiede quote di centrali atomiche all’estero, ma non ci sono le condizioni sociali e politiche di realizzare impianti nucleari in Italia. Lo sanno bene anche i politici nazionali che continuano a parlarne a vuoto, a partire dal ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani.

A Bruxelles, l’Italia ha parteggiato per l’inserimento nella tassonomia verde sia del gas che del nucleare, ma su questa posizione è in corso una forte polemica fra i partiti perfino nella maggioranza di governo. Alla fine dei conti, il risultato è che nessun progetto italiano riuscirà ad accedere alle diverse forme di eurofinanziamento agevolato verde e quelli che restaranno in piedi dovranno far ricorso a risorse proprie o a capitali ordinari di mercato.

Elena Comelli

è arrivato su WhatsApp

Per ricevere le notizie selezionate dalla redazione in modo semplice e sicuro