Soia, avena & C: il ’latte’ vegetale cerca il raddoppio

Soia, avena & C:  il ’latte’ vegetale cerca il raddoppio

Soia, avena & C: il ’latte’ vegetale cerca il raddoppio

ENTRARE in un bar e chiedere un cappuccino con la soia era impossibile fino a qualche tempo fa. Ora è normale e fa anche tendenza. Per l’industria lattiero-casearia, un gigante che supera i 500 miliardi di dollari a livello globale, la crescita dei prodotti alternativi al latte su base vegetale può sembrare frutto di una moda passeggera, ma per molti esperti questo è il futuro, tanto che decine di start-up e anche alcune multinazionali, da Nestlè a Danone, si stanno attrezzando con investimenti cospicui in questa direzione.

Il settore, che da un giro d’affari attuale di 22 miliardi di dollari punta deciso al raddoppio a 40 miliardi da qui a cinque anni, cresce per molti motivi che non spariranno, in primis quelli ambientali. La produzione di un bicchiere di latte vaccino comporta emissioni di gas serra tre volte superiori rispetto a qualsiasi bevanda a base di avena, soia, mandorle o riso, secondo lo studio di riferimento dell’università di Oxford. I succedanei a base d’avena, inoltre, consumano dieci volte meno suolo e venti volte meno acqua del latte vaccino. Le alternative vegetali ai prodotti caseari attraggono anche chi preferisce limitare i grassi e gli intolleranti al lattosio, sempre più diffusi anche in Occidente.

La resistenza del settore lattiero-caseario si concentra soprattutto sul piano nutrizionale: il latte vaccino contiene in media il 3% di proteine, contro il 2% dei prodotti a base di legumi e l’1% delle bevande a base d’avena. Il settore combatte anche sul piano legale e ha già vinto una causa a livello europeo, che dal 2017 impedisce ai concorrenti vegani di chiamare i propri prodotti latte e yogurt nell’Ue. La vittoria legale, però, ha avuto conseguenze impreviste sul piano della comunicazione.

I produttori alternativi, punti sul vivo, hanno reagito con ironia: "Sei stupido? La lobby del latte pensa che tu lo sia" è lo slogan della campagna pubblicitaria lanciata dal produttore svedese Oatly dopo la sentenza. Oatly, ormai ubiquo nei bar europei e americani con i suoi eleganti cartoni grigi, è il decano dei produttori alternativi e il suo sbarco al Nasdaq nell’estate del 2021 ha generato una fiammata che ha portato l’azienda di Malmö a una capitalizzazione di 15 miliardi di dollari. Da allora ad oggi le quotazioni si sono ridimensionate, anche perché si tratta di un piccolo produttore, che non riesce a star dietro agli ordini, ma l’esperienza sta facendo scuola.

Le nuove aziende del settore sono ormai centinaia e l’afflusso di finanziamenti da parte del venture capital è balzato dai 64 milioni di dollari del 2015 a 1,6 miliardi nel 2020. Questa proliferazione ha portato la rivoluzione vegana anche nel settore lattiero-caseario, dove i produttori trainanti hanno optato per una linea difensiva basata sul concetto "se non puoi batterli unisciti a loro". Nestlé, ad esempio, ha da poco lanciato Wunda, il suo primo marchio di latte vegetale, a base di piselli gialli. La rivale francese Danone è già più avanti su questa strada, con i marchi Alpro e Silk, e nel 2020 ha venduto 2,2 miliardi di euro di prodotti lattiero-caseari a base vegetale.

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