Martedì 23 Aprile 2024

"Scelte vicine al pubblico, così il musical può farcela"

"Scelte vicine al pubblico, così il musical può farcela"

"Scelte vicine al pubblico, così il musical può farcela"

NEL MONDO DEL MUSICAL la ripartenza è arrivata lo scorso dicembre con ‘Pretty Woman’, produzione ispirata al blockbuster cinematografico di Garry Marshall con Julia Roberts e Richard Gere e diretto al Teatro Nazionale di Milano, come nella versione teatrale americana, da Caroline Brouwer. "Con 85 mila spettatori in poco più di tre mesi è stato lo spettacolo più venduto lo scorso anno" spiega Matteo Forte, managing director di Stage Entertainment Italy, costola nazionale del colosso teatrale olandese. "Le 75 repliche in cartellone, infatti, fanno oltre 1.100 presenze a spettacolo. Tutto nel pieno delle emergenze pandemiche invernali e quindi con una situazione complicatissima, visto che l’impennata di contagi di fine anno ha sicuramente avuto un impatto. Le vendite sono diminuite, ma a quel punto lo spettacolo si era ripagato iniziando a generare profitti".

Una scommessa vinta.

"Lo spettacolo è costato 1 milione e 700 mila euro – 600 mila euro d’allestimento, 300 mila di marketing, e circa 800 mila di costi vivi – ne ha incassati quasi 4".

Quali sono le condizioni del musical in Italia?

"Come Stage Entertainment abbiamo iniziato a produrne nel 2008 con ‘La Bella e la Bestia’ e costi d’allestimento sei-sette volte più alti rispetto a quelli di ‘Pretty woman’. Per i primi tre anni siamo rimasti su quei livelli d’investimento con bilanci in rosso perché il mercato italiano non è in condizione di assorbire impegni finanziari molto superiori a quelli di Pretty Woman. Questo è dovuto alla difficoltà di alzare il prezzo del biglietto oltre i 40-45 euro netti".

Qual è, dunque, il futuro del settore?

"Non aumentare gli investimenti, ma fare scelte accorte, puntando su spettacoli che il pubblico vuole vedere. Noi commissioniamo due indagini di mercato l’anno per testare direttamente col pubblico i titoli che abbiamo a disposizione. Sono quelle a guidarci nella decisione. Ovviamente evitiamo d’inserire nel sistema di selezione titoli che non possiamo produrre".

Vale a dire?

"Mettere ‘Il re Leone’, ‘Aladdin’ o ‘Frozen’ sarebbe sciocco perché, costando decine di milioni di euro, sono del tutto insostenibili economicamente per un mercato come il nostro".

Questo a cosa è dovuto?

"Si tratta di lavori per i quali vengono concessi esclusivamente diritti ‘replica’ che consentono di allestire lo spettacolo solo se realizzato come viene messo in scena a New York o a Londra. Questo comporta investimenti milionari che nessuno in Italia è in grado di affrontare. In paesi come America o Inghilterra, infatti, la qualità media delle produzioni è decisamente più alta della nostra".

A cosa si riferisce?

"Agli effetti speciali, alla qualità delle illusioni create in sala (il tappeto volante di ‘Aladdin’ che sembra lievitare realmente sulla testa degli spettatori, ad esempio), ad una tecnologia che costa centinaia di migliaia di euro destinata solo a mercati che possono competere con questo tipo di intrattenimento. Mercati dove un primo posto può arrivare a costare anche 250 dollari".

Non esattamente il nostro caso.

"In Italia c’è pure il problema è dato dalla presenza di produttori minori che utilizzando il titolo famoso come specchietto per le allodole mandando in tour produzioni modestissime che finiscono col deprimere il mercato".

Fenomeno diffuso?

"Sì, noi di Stage ne abbiamo provato lo scotto sulla nostra pelle investendo milioni e milioni di euro su ‘La Bella e la Bestia’, ‘Mamma mia!’, ‘Sister act’ mentre i produttori si moltiplicavano prendendo titoli di ‘seconda classe’, quindi ‘no replica’, che portavano in scena con allestimenti da poche decine di migliaia di euro, ma posizionandoli sugli stessi livelli di prezzo dei nostri".

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