Richieste boom per i parchi eolici al largo delle coste

Sono una quarantina i progetti per i quali è stata presentata richiesta di connessione a Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale

NELL’AZZURRO dei mari europei rotea già un esercito di pale eoliche per complessivi 12mila megawatt, con l’obiettivo di arrivare a 60mila megawatt entro il 2030 e a 300mila entro il 2050, per investimenti stimabili sugli 800 miliardi di euro. L’Italia è molto più timida: per adesso siamo a zero e il Piano nazionale integrato energia e clima, che dev’essere aggiornato a breve, prevede appena 900 megawatt di eolico offshore al 2030. In base all’attesa revisione, l’obiettivo dovrebbe essere alzato a 3.500 megawatt, che sono sempre un quinto dei progetti in lista d’attesa. Sono infatti una quarantina i progetti per i quali è stata presentata richiesta di connessione a Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale. Se venissero realizzati davvero, l’Italia verrebbe dotata di ben 17mila megawatt di pale offshore, una potenza superiore a quella di tutto l’eolico di terra mai installato sul territorio italiano.

C’è quindi da aspettarsi un robusto sfoltimento, anche per gli attuali vincoli di tempo. "Stiamo inaugurando una stagione dell’eolico offshore che ci auguriamo lunga e fruttuosa, ma i tempi crediamo andranno ben oltre gli obiettivi previsti – spiega Simone Togni (nella foto in basso), il presidente dell’Anev (Associazione nazionale energia del vento) –. Attualmente la media dell’iter autorizzativo per l’onshore è di 5 anni e mezzo, speriamo di poter ridurre la tempistica, ma tenderei a escludere di andare sotto i 3 anni, anche con le nuove misure del Decreto Semplificazioni". Togni esorta a non ripetere "l’errore fatto con il fotovoltaico e anche con l’eolico, quando all’inizio dello sviluppo l’Italia era all’avanguardia, salvo poi bloccarsi, trovandosi ora costretta a una rincorsa affannosa". Secondo il presidente Anev "abbiamo tecnologie e capacità" per cui occorre sfruttare questa "opportunità molto importante per il Paese" che "può renderci leader nel mondo".

I progetti sono collocati soprattutto nel Basso Adriatico al largo della Puglia (dal Gargano a Santa Maria di Leuca si leggono 12 progetti), nello Ionio, nel Canale di Sicilia (6) e attorno al dorso meridionale della Sardegna (8), fra il Cagliaritano e le coste dell’Iglesiente; un altro nucleo denso di proposte è fra Sardegna e Toscana (7 progetti), Elba compresa; e poi davanti alla Romagna (è il caso del progetto Agnes della Saipem). Tutti sono ancora sulla carta, tranne quello in realizzazione nel porto di Taranto, già quasi pronto. Un terzo delle richieste a Terna per il collegamento alla rete di alta tensione (il 30,5%) è per progetti collocati su mari meno profondi di cento metri, in cui i piloni possono essere piantati nel fondo. Il resto dovrebbe galleggiare nei mari profondi, ancorato con delle funi. Sedici proposte sono già corredate da progetti dettagliati per la realizzazione di specifici impianti offshore galleggianti, da collocare, in sei casi, in acque oltre le 12 miglia.

Perché posare in mare queste eliche possenti su piloni che sviluppano uno sbraccio alto 200 metri, con costi decisamente più alti rispetto all’eolico sulle colline? La spiegazione è per tutti la stessa: "Perché dobbiamo cercare il vento dove è più forte e costante", dicono gli operatori, confrontati con l’eterno problema di andare a cercare le risorse rinnovabili là dove si trovano. Per l’Italia — povera di vento e ricca di comitati locali riottosi a ogni "devastazione del paesaggio" — si aggiunge il motivo del difficile consenso. Lo scopo primario dell’eolico offshore italiano è evitare i crinali, sovraffollati di pale eoliche e di comitati del no. È sufficiente ricordare il primo progetto italiano di eolico in mare: quattordici anni fa, era la primavera 2007, la proposta di qualche pala eolica di fronte alle spiagge del Molise incappò nel rigore del molisano Antonio Di Pietro, il quale tuonò insieme a suo figlio Cristiano, allora consigliere regionale, che il Molise "ha pochi chilometri di costa, non possono rovinarceli". Davanti all’autorevolezza mediatica dell’oppositore, il progetto si dissolse subito. Ora ci si riprova, con progetti sempre più lontani dalle coste, grazie alla nuova tecnologia dell’eolico galleggiante. Procede il progetto di Renexia del gruppo Toto per realizzare nel Canale di Sicilia, a una sessantina di chilometri al largo, il grande parco eolico galleggiante Med Wind. Falck Renewables, da parte sua, si è alleata con BlueFloat Energy per lo sviluppo di vari parchi eolici marini galleggianti al largo delle coste italiane, per il progetto Kailia da 1.200 megawatt al largo di Brindisi e per Odra da 1.300 megawatt a Sud del Salento. Nel dettaglio, il progetto Kailia ha avviato il mese scorso la verifica della commissione Via del ministero della Transizione ecologica: l’impianto sarà composto da 98 aereogeneratori da 12 megawatt, per una potenza totale di 1.176 megawatt, da posare a una distanza minima di 9 chilometri dalla costa da Brindisi a San Cataldo.

Restando nel campo degli esami di Via, si sono concluse tre precedure: un impianto Ichnusa Wind Power di 42 turbine eoliche da 12 megawatt l’una per complessivi 504 megawatt da collocare a 35 chilometri al largo della costa sud occidentale della Sardegna; il progetto 7Seas per 25 eliche da 10 megawatt l’una nel Canale di Sicilia al largo di Trapani; l’impianto della Mediterranean Wind Offshore per 38 torri eoliche (137 megawatt) al largo di Butera e Gela (Caltanissetta). Il parere positivo è già arrivato nel 2017, invece, per il progetto di Brindisi della TG Energie Rinnovabili, 36 aerogeneratori per una potenza complessiva di 108megawatt nel tratto di mare antistante i comuni di Brindisi, San Pietro Vernotico e Torchiarolo. Più di 20 chilometri al largo del Lazio, infine, sta prendendo il via un altro progetto di eolico galleggiante, che prevede l’installazione iniziale di 270 megawatt, con 27 pale eoliche alte circa 250 metri.

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