Giovedì 25 Aprile 2024

La ‘S’ di Sociale è la chiave per fermare le grandi dimissioni

LA ‘S’ STA DIVENTANDO rapidamente la dimensione di riferimento, in tutto il mondo, nel magico trittico Esg che sintetizza la corsa alla sostenibilità delle imprese. Se in una prima fase le priorità della rivoluzione sostenibile erano considerate la tutela dell’ambiente e la lotta al climate change, rappresentati dalla ‘E’ di Environmental, oggi esse sono diventate pre-condizioni necessarie ma non sufficienti per giocare il difficile campionato della sostenibilità aziendale. In parallelo, invece, i temi condensati nella ‘S’ di Social hanno preso il sopravvento nelle valutazioni di esperti del settore, investitori, politici e media. Anche grazie alla trasversalità della ‘S’, che comprende sia le relazioni con le comunità esterne all’azienda sia il rapporto tra l’azienda e i suoi dipendenti, influenzato a monte dai modelli organizzativi adottati dall’impresa, sulla base di uno spettro di opzioni molto ampio, che va da Taylor a Google.

Gli sforzi per una qualità della vita sostenibile all’interno delle imprese incrociano le rivoluzioni del mondo del lavoro nell’era Covid, che negli ultimi due anni sta cambiando con velocità e intensità finora sconosciute: smart working, dimissioni di massa, nuovi equilibri tra occupazione e vita privata. Il lavoro a distanza, che all’inizio della pandemia è stato percepito da molti imprenditori come male necessario, è considerato oggi il pilastro di una nuova organizzazione del lavoro in grado di archiviare il modello taylorista portando benefici sia sul lato della produttività del lavoro, sia sul lato dei costi aziendali.

Ancora più sorprendente è un altro fenomeno che sta caratterizzando questa fase storica, quello delle ‘grandi dimissioni’. Nato negli Stati Uniti all’inizio dello scorso anno, il fenomeno si è rapidamente diffuso in Europa: nel secondo trimestre 2021, in Italia, ben mezzo milione di persone ha deciso di lasciare la propria occupazione. Il cambio di vita può avere motivazioni molto diverse, ma rivela in ogni caso l’esistenza in tutto il mondo occidentale di una profonda insoddisfazione verso il lavoro. È urgente dunque esplorare nuove strade per rivitalizzare il lavoro. Tra le opzioni praticabili, la più potente è rappresentata oggi dalla costruzione di un sistema di partecipazione dei lavoratori. In dottrina si distinguono tre livelli di partecipazione: informativa, economica, strategica. Oggi la prima non basta più: essere informati su strategie e missioni della propria azienda o organizzazione è necessario, ma non sufficiente per costruire un nuovo rapporto con il proprio lavoro.

La partecipazione economica è invece un passaggio di rilievo: introdurre una retribuzione aggiuntiva legata ai risultati dell’azienda a favore del numero più ampio possibile di lavoratori vuol dire rafforzare motivazioni e identità del lavoro. Ma per superare quel tristissimo dato del 5% di lavoratori soddisfatti della propria occupazione, è necessario avere il coraggio di accedere al terzo livello della partecipazione, coinvolgendo i lavoratori nelle decisioni strategiche di una grande azienda e nella definizione dei valori stessi dell’impresa, che in questo modo può mutare pelle affiancando al legittimo profitto un proposito condiviso. In concreto, questo modello di partecipazione implica non solo la garanzia per i dipendenti di una rappresentanza nei Cda delle aziende – come nel modello tedesco –, ma soprattutto la creazione di luoghi permanenti di confronto tra top management e rappresentanti dei lavoratori su tutte le decisioni rilevanti: investimenti, innovazioni, qualità della vita in azienda, rapporti con i territori in cui opera l’impresa. Attenzione, però: sarebbe insensato e controproducente realizzare questa rivoluzione mediante un’imposizione di legge, che sarebbe giudicata dai più (e sicuramente dagli imprenditori) un atto coercitivo in grado di ingolfare il motore del sistema imprenditoriale. La strada più intelligente è un’altra, a mio avviso: sperimentare subito il modello partecipativo nelle aziende partecipate dallo Stato, dalle Regioni e dai Comuni. Una strada che potrebbe essere imboccata in primis dalle grandi città le cui municipalizzate versano nelle condizioni peggiori, a partire da Roma. La nuova frontiera (realizzabile) della sostenibilità d’impresa è di fronte ai nostri occhi: chi saprà attraversarla per primo?

[email protected] @FFDelzio

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