Investimenti in sostenibilità, allarme Mezzogiorno

Investimenti in sostenibilità, allarme Mezzogiorno

Investimenti in sostenibilità, allarme Mezzogiorno

C’È UN GRANDE OSTACOLO nella corsa verso la sostenibilità, in cui il sistema Italia è impegnato sotto la spinta straordinaria delle risorse del Pnrr. È l’incapacità di programmare, progettare e realizzare che paralizza il settore pubblico nel Mezzogiorno. La spìa rossa si è accesa qualche settimana fa, quando ai bandi del ministero della Transizione Ecologica (nella foto a sinistra, il ministro Roberto Cingolani) da 2,1 miliardi dedicati all’economia circolare – in particolare al trattamento e al riciclo dei rifiuti – hanno risposto poco e male le pubbliche amministrazioni e le aziende del Sud: oltre il 70% delle richieste dei fondi è arrivato infatti dai Comuni del Centro-Nord, nonostante il principale target dell’operazione fosse proprio il Mezzogiorno dove le strutture per trattamento e riciclo dei rifiuti sono particolarmente carenti. Di qui la decisione del ministero di prorogare di un mese i termini per la presentazione delle domande: le nuove scadenze sono fissate ora tra il 16 e il 23 marzo, per cercare di garantire l’obiettivo di coesione territoriale (nella foto a destra, il ministro per il Sud, Mara Carfagna) stabilito dal Pnrr (60% dei fondi da assegnare al Centro-Sud).

Tutto previsto e prevedibile, ahinoi, come da queste stesse pagine avevamo già segnalato. L’obiettivo di realizzazione e rendicontazione al 2026 delle opere previste dal Pnrr, in teoria confortevole sul piano temporale, si sta trasformando in una spada di Damocle che pende su molte amministrazioni del Sud: prive di personale con competenze adeguate, entrano subito in affanno quando si tratta di mettere in campo l’organizzazione tecnica necessaria per far fronte a compiti complessi. Di conseguenza i progetti non arrivano entro le scadenze e i bandi vengono prorogati, in tutti gli ambiti. La questione è cruciale per lo sviluppo, non solo sostenibile, del nostro Paese e per la stessa riuscita complessiva dell’ambizioso progetto del Next Generation EU: il Sud d’Italia è destinatario esclusivo nei prossimi anni – tra Pnrr, fondi europei strutturali e di coesione e altri fondi – di oltre 200 miliardi di euro di risorse pubbliche. Il rischio di non riuscire a spenderle in gran parte, come dimostra la storia dei fondi strutturali europei, è molto concreto.

Questa condizione fa ancor più male in ambito sostenibilità. Il Mezzogiorno è oggi il serbatoio dell’energia green e sostenibile del Paese, perché garantisce ben il 53,2% del totale della produzione nazionale di energia eolica e solare e rappresenta la chiave per raggiungere il target del 30% di quota green sui consumi finali al 2030, stabilito nel Piano Nazionale per l’Energia e il Clima Italiano. Inoltre è oggi la frontiera di collegamento tra Europa e Sud Mediterraneo, essendo la porta d’ingresso dei nuovi flussi energetici provenienti dal Nordafrica verso l’Europa (gasdotti Transmed e Greenstream) e dall’Est (gasdotto TAP), e si candidarsi nei prossimi anni a diventare l’hub europeo dell’idrogeno verde in virtù della sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, delle infrastrutture green di cui è già dotato e del solido know how scientifico in ambito green delle sue Università. Eppure, paradossalmente, l’ultimo a beneficiare oggi di questo ‘patrimonio sostenibile’ è proprio il Sud. Vittima della sua stessa incapacità di progettare il futuro.

[email protected] @FFDelzio

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