Giovedì 18 Aprile 2024

Il greenwashing diventa illecito per le aziende

Ursula von der Leyen

Ursula von der Leyen

La sostenibilità non può essere più per le aziende un mero esercizio di marketing e di comunicazione, sganciato dalla realtà. È il principio – in qualche modo rivoluzionario – sancito dal Tribunale di Gorizia, che lo scorso novembre ha emesso la prima sentenza civile in Italia che sanziona il greenwashing. Per la prima volta nel nostro Paese un giudice ha condannato un’azienda per la pubblicità di un prodotto che veniva definito sostenibile, ritenendola ingannevole in quanto i messaggi promozionali sulle (presunte) qualità sostenibili di un prodotto o di un’azienda non possono essere "vaghi, generici o esagerati", ma devono essere dimostrabili. In realtà la battaglia contro il greenwashing registra un numero crescente e qualificato di protagonisti a livello internazionale, a partire dalle istituzioni europee. Circa un anno fa, la Commissione Ue ha pubblicato un innovativo report sulla sostenibilità delle aziende sostenibili, verificata mediante il monitoraggio dei messaggi pubblicitari in materia di sostenibilità pubblicati dalle aziende sui siti web proprietari. Il risultato è stato sconcertante: oltre la metà dei green claim esaminati presentava ‘sintomi’ di illiceità, perché fondati su affermazioni vaghe e generiche, oppure (nella maggior parte dei casi) perché non erano supportati in alcun modo da dati e informazioni che dimostrassero la fondatezza di quanto raccontato negli spot pubblicitari.

La regolazione della materia è in rapida evoluzione. Se da una parte l’Unione Europea non si è ancora dotata di norme ad hoc, dall’altra parte alcuni Paesi si stanno dotando di strumenti specifici di tutela dei cittadini e delle imprese da fenomeni di greenwashing. È il caso della Francia, che ha introdotto di recente una sanzione pecuniaria fino all’80% del costo totale della campagna pubblicitaria ingannevole, a carico di aziende che lancino campagne di greenwashing. È ugualmente interessante il dibattito sul tema in corso negli Stati Uniti, dove l’amministrazione Biden sta progettando strumenti innovativi volti a combattere il greenwashing, come per esempio nuove unità operative specializzate sul tema all’interno delle agenzie finanziarie.

Tornando al nostro Paese, la decisione del Tribunale di Gorizia rappresenta ora un precedente rilevante, che rischia di orientare la giurisprudenza dettando la linea in materia. È interessante il fatto che il Tribunale abbia basato la sua pronuncia sull’articolo 12 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, secondo cui "la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili". Questo riferimento implica una possibilità di tutela – di fronte ad operazioni di greenwashing – non soltanto dei cittadini, ma anche di altre imprese che siano state danneggiate dal comportamento illecito dell’azienda condannata.

Non sfuggirà a nessuno, tuttavia, come (in mancanza di una normativa in materia) sia molto ampio oggi il potere discrezionale affidato ai giudici: determinare se un messaggio pubblicitario possa essere considerato greenwashing o meno, implica una valutazione di merito particolarmente delicata e senza riferimenti oggettivi sulle strategie e sui comportamenti dell’azienda indagata. È un rischio su cui occorrerà riflettere attentamente.

[email protected]@FFDelzio

 

 

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