Martedì 23 Aprile 2024

IL BOOM DELLE TERRE RARE? NON FINIRÀ CON LA BOLLA

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FABBRICHE di elettrodomestici, mobili, alimentari, automobili, chi prima chi dopo si stanno fermando tutte. Proprio ora che riparte la domanda. La questione è che pressoché tutte le materie prime sono diventate introvabili e costosissime. Gli inglesi la chiamano ‘everything bubble’: la bolla sui prezzi di qualunque cosa. Per un Paese trasformatore come l’Italia, che deve importare quasi tutto, sta diventando un problema serio. Nel tempo, secondo gli analisti, questa situazione si sgonfierà, perché i livelli produttivi sono ancora più bassi di quelli del 2019, quindi nel giro di alcuni mesi i prezzi scenderanno a livelli che rispecchiano la domanda reale. Ma questo ragionamento non si applica a tutte le commodities.

Ci sono alcune materie prime necessarie in quantità mai utilizzate finora, perché sono indispensabili alle due rivoluzioni in corso nel sistema produttivo: la transizione green e quella digitale. Parliamo di rame, litio, silicio, cobalto, terre rare, nickel, stagno, zinco. In appena un anno lo stagno, usato per le microsaldature nel settore elettronico, ha registrato un incremento del 133%, e la domanda continuerà a crescere a fronte di un’offerta contratta. Il prezzo del rame è aumentato del 115%. Il rodio è una terra rara utilizzata per collegamenti elettrici e per la realizzazione di marmitte catalitiche: più 447%. Il neodimio serve soprattutto nella produzione di super-magneti per i sistemi di illuminazione e l’industria plastica. Richiestissimo: più 74%.

I più lungimiranti sono stati i cinesi. A casa loro sono grandi estrattori di rame, litio, terre rare. E quello che gli manca se lo vanno prendere nei Paesi produttori: il nichel nelle Filippine e in Indonesia, in Congo possiedono le principali miniere di cobalto. Minerali che poi trasformano direttamente nella madre patria. Secondo Benchmark Mineral Intelligence, società di analisi britannica, l’80% dei materiali grezzi necessari per la costruzione delle batterie agli ioni di litio proviene da aziende cinesi. La Commissione europea rileva che le materie prime critiche sono trenta, tra le quali proprio il litio. Per l’approvvigionamento di terre rare dipendiamo dalla Cina per il 98%, idem per il borato dalla Turchia, dal Sud Africa per il 71% del fabbisogno di platino. Secondo le stime della Commissione, per le batterie dei veicoli elettrici e lo stoccaggio dell’energia nel 2030 l’Ue avrà bisogno di un approvvigionamento di litio fino a 18 volte superiore a quello attuale, e 5 volte di cobalto. Quantità che triplicheranno nel 2050, mentre decuplicherà la domanda di terre rare utilizzate nei magneti permanenti (veicoli elettrici, tecnologie digitali, generatori eolici). Con venti anni di ritardo rispetto alla Cina, lo scorso ottobre l’Unione Europea (nella foto in basso, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen) ha costituito l’Alleanza per le materie prime. La strategia è quella di diventare più autonomi puntando su tre obiettivi.

Primo punto: favorire l’attività estrattiva dei metalli presenti sul territorio europeo utilizzando tecnologie avanzate. La domanda di litio, per esempio, può essere soddisfatta internamente per l’80% entro il 2025. Oggi i metalli strategici estratti in Europa, come il litio, vengono poi trasformati principalmente in Cina. Il processo di lavorazione andrà invece sviluppato rapidamente a casa nostra. Sono stati creati sei centri d’innovazione, con lo scopo di implementare il settore creando partnership tra imprese e tra imprese e università. In Italia abbiamo un po’ di cobalto in Sardegna e a Punta Corna, in Piemonte, dove si trova anche il nichel; mentre a Gorco, in provincia di Bergamo, c’è lo zinco.

Secondo punto: potenziare l’attività di riciclo dei metalli pregiati. Abbiamo dimostrato di saperlo fare con carta, ferro e alluminio, ma non con i rifiuti elettronici, a partire dalle batterie dei cellulari. Per il riciclo delle batterie, mandiamo il grosso in Cina, che ormai domina il mercato mondiale, e la paghiamo per svolgere questo tipo di attività, per poi andare a comperare lì le batterie nuove. Prendiamo il caso del cobalto, un minerale strategico. Dai dati dello European Institute of Innovation and Technology RowMaterials, l’Ue paga per importarne 40.000 tonnellate ogni anno, che finiscono per la metà in prodotti venduti all’interno dell’Ue, dove il riciclo a fine vita però è minimo, quando invece una percentuale attorno al 50% è recuperabile. Inoltre andiamo a buttare migliaia di tonnellate di computer e telefonini usati nelle discariche di casa nostra e in Africa. Un comportamento irresponsabile che, da un lato, provoca un inquinamento gigantesco e, dall’altro, deturpa l’ambiente perché rende necessario estrarre nuovo cobalto.

Terzo punto: costruire una politica estera e industriale comune, per ottenere le concessioni dei minerali che non abbiamo. Restando sul caso del cobalto, Sicomines, un consorzio di società statali cinesi, nel 2008 ha firmato un accordo con il Congo per diritti di estrazione di rame e cobalto fino al 2033, per un valore stimato in 84 miliardi di dollari. In cambio si è impegnata a investire 6 miliardi di dollari nelle infrastrutture del Paese e circa 3 miliardi nel settore minerario, lo stesso in cui si sfrutta il lavoro dei bambini, provocando l’indignazione di mezzo mondo. L’Europa potrebbe fare lo stesso e offrire condizioni migliori.

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