Gas, ecco quanto valgono i nostri giacimenti

IL PIANO per ridurre i costi energetici italiani, approvato subito prima dell’aggressione russa all’Ucraina, prevedeva fra le altre misure anche l’aumento dell’estrazione di metano dai giacimenti nazionali. Ora questo punto diventa ancora più rilevante, con il rischio incombente di tagli agli approvvigionamenti dalla Russia. Il decreto Bollette non dice i dettagli di quanto estrarre e dove, ma si sa già che punta ad almeno 2,2-2,5 miliardi di metri cubi l’anno in più, con investimenti complessivi per 2 miliardi di euro. La domanda è: quanti giacimenti ci sono in Italia? E in che tempi sarebbero riattivabili quelli che sono dormienti?

Secondo le stime degli ingegneri minerari e dei geologi, nel sottosuolo d’Italia sono nascosti (tra riserve certe e possibili) 350 miliardi di metri cubi di gas. La stima è di una decina di anni fa, ma resta attuale. Le riserve certe e già estraibili, invece, sono 90 miliardi di metri cubi, poco di più dei consumi annuali italiani, che si aggirano sui 75 miliardi di metri cubi. Nel 2021 l’Italia ha estratto 3,34 miliardi di metri cubi di gas (-18,6% rispetto al 2020) e ha bruciato 76,1 miliardi di metri cubi (+7,2%). Sono lontani gli anni ‘90 e 2000 in cui si estraevano quasi 20 miliardi. Oggi i giacimenti sono lasciati deperire, per una serie di motivazioni ambientali, a partire dal problema della subsidenza, avanzato soprattutto per i giacimenti in Alto Adriatico, che rischierebbe di far sprofondare i territori limitrofi, compresa Venezia. Il progetto di nuove estrazioni delineato dal decreto Bollette dice che il Gse dovrà mettere in gara a basso prezzo il metano aggiuntivo dei giacimenti nazionali, ma non dice di quale gas stiamo parlando. Le speranze del governo di aumentare le estrazioni si concentrano soprattutto sul Canale di Sicilia, con i nuovi giacimenti di Argo e Cassiopea, da dove potrebbe essere estratto l’80% di quei 2,2-2,5 miliardi di metri cubi in più. Un altro 15% potrebbe venir fuori spremendo le riserve ormai quasi esauste dell’area che fa perno su Ravenna e al largo delle Marche, con un investimento stimabile sui 300 milioni.

Il restante 5% cercando nuovo gas sotto il fondale dello Ionio al largo di Crotone. La compagnia più coinvolta è l’Eni, con un ruolo da comprimarie alla Shell, alla compagnia petrolifera emiliana Gas Plus e alla anglo-ellenica Energean. Marginale il contributo della Total, il cui gas del giacimento di Tempa Rossa è tutto riservato alla Regione Basilicata. I tempi, però, non sono brevi. Le autorizzazioni per potenziare i giacimenti sfiatati e per riavviare quelli chiusi impiegheranno dai 10 mesi ai 3 anni, secondo i casi, mentre vanno ordinati macchinari, perforazioni, apparecchiature e si devono aprire i cantieri. In altre parole, secondo gli esperti il primo gas aggiuntivo si vedrà nel 2023.

A ciò si aggiunge il piano regolatore Pitesai sull’uso del sottosuolo, piano pubblicato poco prima del decreto Bollette dal ministero della Transizione ecologica, che limita molto i territori di estrazione. In base al piano regolatore antitrivelle, infatti, salta il progetto dell’australiana Po Valley di realizzare una piattaforma per sfruttare il giacimento Teodorico a 23 chilometri al largo di Goro e Volano, con i suoi 900 milioni di metri cubi di metano. È a rischio anche lo sviluppo pieno dei giacimenti da 10-12 miliardi di metri cubi di gas con Argo e Cassiopea nel Canale di Sicilia al largo di Agrigento, per i quali l’Eni ha appena ottenuto le autorizzazioni e programmava una spesa di 700 milioni. Il primo pozzo da perforare si troverebbe in zona consentita, ma una futura ipotetica area naturalistica metterebbe in area vietata tutte le altre attività necessarie per sviluppare il giacimento.

Fermo anche il grappolo di grandi giacimenti ad alta profondità in mezzo al golfo di Venezia, a metà fra l’Italia e l’Istria, che dal 1983 sono congelati dal lato italiano dell’Adriatico per paura che il suolo possa sprofondare nella subsidenza. Si stima che in mezzo al mare, sotto il fondale, dormano dai 30 ai 40 miliardi di metri cubi di gas. Un metro di là dal confine che divide le acque italiane da quelle croate, però, la compagnia croata Ina ha le piattaforme del giacimento Izabela.