Smart working, nuove regole: cosa cambierà dopo giugno 2023

A partire da giugno 2023 le aziende potranno richiedere ad alcuni dei loro dipendenti di ritornare a lavorare in presenza, ecco i dettagli.

A partire dal prossimo 30 giugno 2023 scadrà la proroga per lo smart working. La fase che stiamo attualmente vivendo, d’altra parte, lo concede: a poco più di tre anni dall’inizio della pandemia di Covid-19 è evidente che la situazione sia ben differente, a tal punto che la stessa OMS ha decretato proprio pochi giorni fa la fine dell’emergenza (ma non la fine della pandemia tout court, visto che concretamente il virus è destinato a restare con noi ancora a lungo).

Crediti iStock - I cambiamenti per lo smart working
Crediti iStock - I cambiamenti per lo smart working

In una situazione simile, in mancanza di altri eventuali decreti normativi che definiscano i dettagli delle condizioni di lavoro dei dipendenti aziendali, i lavoratori non godranno più del diritto di poter lavorare da casa come preferiscono. La scelta se concedere o meglio questa (dopo tutto preziosa) opportunità spetterà da adesso in poi solo ed esclusivamente al datore di lavoro.

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Il pieno ritorno alla normalità sul posto di lavoro è previsto dal 1° luglio

A partire dal 1° luglio in tutte le aziende italiane si tornerà alla normalità pre-pandemica. Tutti i dipendenti dovranno così presenziare sul posto di lavoro fisicamente, e questo principio varrà anche nel caso di categorie specifiche che, teoricamente, avrebbero fino a questo punto goduto di vantaggi importanti per quanto riguarda la modalità di lavoro cosiddetta “agile”. In questo contesto, insomma, anche i lavoratori definiti fragili (chi, ad esempio, soffre di particolari patologie) e i genitori con figli al di sopra dei 14 anni non avranno più la possibilità di scegliere. Ciò non significa, in ogni caso, che l’opportunità dello smart working scompaia da un giorno all’altro, improvvisamente e senza spazio di manovra da parte dei dipendenti. La legge attualmente in vigore, infatti, concede alle aziende la possibilità di accordarsi con i dipendenti garantendo in alcuni casi la possibilità del lavoro da casa. Com’è ovvio, esistono per il resto anche dei lavori per cui lo smart working è letteralmente impossibile da mettere in pratica: è il caso della grande distribuzione e dei negozi in generale, dei servizi turistici, ma in generale per tutti i lavori pratici per la cui presenza fisica di ogni singolo dipendente è imprescindibile.  

La legge sullo smart working: cosa dice di preciso

Il quadro legislativo che norma tutte le attività che possono permettere il lavoro agile è da riferirsi alla legge 81 del 2017 e dal successivo decreto legislativo 105 del 2022. Le norme ad oggi in vigore stabiliscono che i datori di lavoro possono stipulare accordi per lo smart working, dando però la priorità ai soggetti “con figli fino a dodici anni di età, o senza alcun limite di età nel caso di figli in condizioni di disabilità (articolo 3, comma 3 legge 104 del 1992), o alle richieste dei lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata (articolo 4, comma 1 legge 104 del 1992) o che siano caregivers”.

La legge, dunque, concede in linea teorica questo tipo di diritto anche a tutti i lavoratori o le lavoratrici che possono preferire di lavorare da casa in quanto si occupano quotidianamente di altri familiari affetti da gravi patologie invalidanti. Le norme attuali, ad ogni modo, sono state interpretate in modo leggermente diverso a seconda dei punti di vista. C’è infatti chi ha ritenuto che ci si riferisse ad un diritto al lavoro da remoto al 100%, nonostante la normativa non lo esplicitasse; altri invece l’hanno interpretato come diritto al 100% di poter svolgere il proprio lavoro in modalità agile, ovvero in parte da remoto e in parte in presenza. In base a quanto affermato fino a questo punto emerge dunque un elemento chiave: quando si parla di “priorità” per certe categorie ci si riferisce al fatto che starà alla discrezione del datore di lavoro scegliere quali dipendenti far lavorare a distanza, preferendo le categorie (se così si possono chiamare in questo contesto) “protette” nel caso in cui la possibilità possa essere concessa solo ad un numero esiguo di lavoratori e lavoratrici.

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Chiaramente, in uno scenario simile (piuttosto delicato, va detto) è fondamentale che fra l’azienda e i lavoratori si crei un clima di profonda fiducia e di dialogo costante. Soltanto con la mediazione e la negoziazione sarà infatti possibile riuscire a raggiungere una quadra, cercando per quanto possibile di soddisfare le esigenze di entrambe le parti. Non è un traguardo così scontato da raggiungere, anche perché potrebbe richiedere sacrifici e rinunce da entrambe le parti.

Il mondo del lavoro sta cambiando: lo smart working rappresenta già il futuro

Sarebbe impossibile negare che con l’avvenuto della terribile pandemia che ci stiamo lasciando alle spalle il mondo del lavoro non sia cambiato profondamente. Messi di fronte alla fragilità e all’incertezza, sono stati in tantissimi a rendersi conto di quanto sia assolutamente fondamentale il cosiddetto work-life balance, cioè l’equilibrio fra la vita personale e quella lavorativa.

In questo contesto sono dunque emerse nuove figure professionali, ma soprattutto nuovi modi di lavorare, scollegati da modalità che fino al 2020 tutti davano praticamente per scontate. Lavorare da casa senza essere costretti a passare ogni giorno ore in automobile o sui mezzi pubblici è senza dubbio un grande vantaggio e può permettere ai dipendenti di essere più soddisfatti e apprezzati anche da un punto di vista squisitamente umano. Il lavoro agile sembra in qualche modo essere già “il futuro”. Ad ogni modo, c’è chi potrebbe ancora risultare piuttosto reticente a quella che sembra avere a tutti gli effetti le caratteristiche di una vera rivoluzione che sta avendo un’influenza sulla stessa etica del lavoro fino ad oggi data per scontata dai più.  

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Le aziende che sono rimaste indietro in questo senso, comunque, faranno meglio ad adattarsi al cambiamento al più presto. Il rischio è che molte delle risorse che hanno a loro disposizione inizino ad impegnarsi il minimo indispensabile (si parla in questo caso di quiet quitting) se non addirittura a lasciare l’azienda alla ricerca di condizioni più vantaggiose, a tutti i livelli. La posta in gioco è decisamente alta, questo è poco ma sicuro.

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