Venerdì 19 Aprile 2024

Settimana corta al lavoro, anche il Portogallo ci prova. Dove viene applicata e con quali risultati

Parte l’esperimento portoghese che coinvolge 39 aziende private: si lavora quattro giorni su sette. A che punto è l’Italia?

La 'settimana corta' per il benessere dei dipendenti

La 'settimana corta' per il benessere dei dipendenti

Lisbona, 5 giugno 2023 – Inizia oggi per 39 aziende private e mille lavoratori del Portogallo l’esperimento pilota della ‘settimana corta’, la settimana lavorativa che prevede 4 giorni di attività e i restanti 3 di riposo.

La fase sperimentale durerà fino a novembre, quando si trarrà un bilancio dei primi effetti e si valuterà se renderla definitiva o ritornare allo schema classico. Fino ad allora, le restanti aziende del Paese potranno unirsi in qualsiasi momento all’esperimento. L’adesione è libera, ma attualmente il numero di chi ha aderito alla prova è inferiore ai piani iniziali, che prevedevano il coinvolgimento di 46 aziende e di 20 mila dipendenti. 

Alcune realtà portoghesi avevano applicato la riduzione oraria già nel corso dei mesi scorsi, ma a partire da oggi potranno beneficiare del sostegno di una squadra ministeriale creata per questo scopo. 

Per le aziende aderire al progetto non comporta né ridurre lo stipendio dei propri dipendenti né aumentare il carico e le ore lavorative nei 4 giorni in ufficio.

Come dimostrano i risultati raggiunti in altri Paesi, i benefici potrebbero essere notevoli anche in Portogallo, sia in termini di produttività delle aziende che in quelli di livelli di benessere fisico e mentale di chi ci lavora. 

Ad essere coinvolte nel test per il momento sono solo aziende private. La pubblica amministrazione ne resta ancora fuori, sebbene un primo progetto di settimana corta fosse stato implementato nel 1999 sotto il governo di Antonio Guterres. All’epoca fu il primo in Europa e rimase attivo per circa 15 anni, implicando tuttavia una riduzione del 20% del salario. 

La ‘Four days week’ nel mondo

A dare avvio alla serie di esperimenti è stata l’Islanda che, tra il 2015 e il 2019, ha testato la ‘Four days week’ della durata di 35-36 ore, ottenendo buoni risultati. La produttività delle sue aziende è infatti risultata in aumento, con l’adesione alla prova da parte dell’86% dei dipendenti. 

Tra i Paesi aperti a questa sperimentazione anche la Nuova Zelanda, che ha iniziato nel 2018 per iniziativa di società come Unilever. In seguito, anche il Governo ha rilanciato l’iniziativa. 

Risultati corposi sono stati raggiunti in Gran Bretagna. Ben 61 imprese in tutto il Paese hanno adottato questa modalità lavorativa da giugno a dicembre dello scorso anno, coinvolgendo un totale di circa 3 mila dipendenti. Trentotto tra queste hanno poi deciso di estendere il periodo di sperimentazione, mentre 18 l’hanno resa definitiva. Il 39% dei dipendenti ha dichiarato di aver ridotto lo stress, il 40% di dormire meglio e il 54% di aver migliorato l’equilibrio casa-lavoro.

La soluzione è in prova anche in Svezia, Giappone e Stati Uniti, mentre in Belgio è in atto già dall’anno scorso, previo accordo tra datore di lavoro e dipendente e un periodo di prova di 6 mesi. Quanto alla Spagna, il test, iniziato nel 2021, durerà fino al 2024 e ha l’obiettivo di ridurre le ore settimanali a 32, distribuendole nei quattro giorni. 

La ‘settimana corta’ in Italia

Pur non essendoci ancora una normativa ufficiale sul tema, anche alcune aziende italiane hanno ridotto gli orari di lavoro. Un esempio è il gruppo bancario Intesa Sanpaolo, che ha offerto a 74 mila dipendenti la possibilità di lavorare fino a 120 giorni all’anno in smart working e quattro giorni a settimana al posto dei classici cinque in ufficio, mantenendo però invariato il monte ore, così come ha scelto di fare anche il Belgio.

Con questa soluzione, la banca ha fatto sapere che “va incontro alle esigenze di conciliare gli equilibri di vita professionale e lavorativa delle proprie persone e dimostra attenzione al loro benessere”.

Quali sono i benefici

Oltre a una maggiore produttività delle aziende, dato dal ritrovato benessere psicofisico dei lavoratori e delle loro famiglie, i benefici sono anche ambientali. 

Andare al lavoro un giorno in meno significa infatti per i dipendenti risparmiare chilometri e per le aziende consumare meno risorse energetiche e riscaldamento. 

Come fa notare uno studio condotto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti dal team di Juliet Schor, economista del Boston College, ridurre le ore lavorative del 10% equivale a ridurre le emissioni di CO2 dell’8,6%.

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