Separate, ma coi bilanci in utile L’Emilia Romagna s’interroga sul futuro delle sue Expo

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Simone Arminio

BOLOGNA

PERSEGUITO sulla carta e caldeggiato dalla Regione, un futuro comune per i gruppi fieristici emiliano-romagnoli ancora non è neppure all’orizzonte. Si va avanti separati, puntando a singoli accordi e a sinergie tra saloni e padiglioni. Dovrebbe essere la fotografia di un disastro, ma la notizia è che invece si va avanti a gonfie vele. Lo dicono i bilanci 2018. Lontani i malanni di qualche anno fa, i segni più hanno dominato la cartina.

PER BOLOGNA Fiere, dove pure è in atto un corposo restyling che prevede la nascita di nuovi padiglioni e il rifacimento di quelli storici, il fatturato 2018 consolidato (comprende anche i bilanci delle controllate estere, soprattutto legate al Cosmoprof, e dei quartieri di Modena e Ferrara) è stato infatti pari a 170,8 milioni, in crescita del 35,5%, mentre il margine operativo lordo si è attestato sui 36,5 milioni di euro, in aumento addirittura del 72,1% rispetto al 2016 (vero anno di paragone, visto che molti eventi sono biennali). L’utile netto per la prima volta ha sfiorato i 10 milioni, arrivando a 10,9. Valori che dopo anni di polemiche, soprattutto da parte dei soci privati, ha generato dividendi per gli azionisti per 1,28 milioni di euro.

PRATICAMENTE pari anche i conti di Italia Exhibition Group, il gruppo che ha unito le società fieristiche di Rimini e Vicenza. Il loro bilancio 2018 è stato pari a 159,7 milioni di euro (+22%), con un margine operativo lordo di 30,8 milioni di euro in crescita sui 23,2 milioni del 2017. L’utile netto, in crescita del 17,9%, l’anno scorso ha toccato i 1,8 milioni di euro, portando alla distribuzione di dividendi per 5,5 milioni di euro. E godono di ottima salute, seppure con numeri ben inferiori, anche gli altri due poli fieristici regionali. Quello di Parma (fatturato aggregato superiore ai 30 milioni, ma un utile che nel 2016 ha superato i 7 milioni) ha dalla sua un gioiello internazionale come la fiera dell’agroalimentare Cibus e, in termini di alleanze, in questi anni non è stata certo a guardare.

NEL 2017 è nata infatti Vpe, Verona Parma Exhibition, una newco da 130 milioni milioni di fatturato, che al Cibus affianca il Vinitaly, a cui in questi mesi si è aggiunta l’alleanza con Forlì dove si tiene Fieravicola. Piccola ma agguerrita è infine anche Cesena Fiera. A fare da campione, anche in questo caso, è un’unica esposizione ma di fama internazionale. Si tratta di Macfrut, che con coraggio da qualche anno la piccola fiera cesenate ha deciso di organizzare fuori casa, nella più grande cornice di Fiera di Rimini. Scelta vincente se si considera che nel 2018 il Macfrut sulle rive del Savio ha riportato indietro un fatturato di 4,28 milioni di euro che costituisce gran parte del fatturato di Cesena Fiera, pari a 5,3 milioni di euro nel 2018 (+3,8% rispetto all’anno precedente), con un utile netto di 141mila euro.

COMPOSITA e variegata la galassia delle fiere emiliano-romagnole, dunque, ma che aggregata produce ricavi per quasi 400 milioni di euro, e se sommata ai 247 milioni di euro di fatturato di Milano (con cui da qualche anno flirta Bologna) fa dell’asse fieristico del nord-est un avversario temibilissimo pure per il gigante Francoforte, ormai a un passo con i suoi 715 milioni di euro. Se questi sono i risultati, la concorrenza tra cugini, almeno per il momento, potrebbe non essere un gran danno.

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