Sangue blu e fiuto per gli affari La banca dei reali del Liechtenstein punta sui grandi investitori italiani

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MILANO

MENO di 260 chilometri e circa 3 ore di macchina. È poca la distanza che separa Milano da Vaduz, la capitale del ricco Principato del Liechtenstein, uno dei più piccoli stati d’Europa incastonato nel cuore della regione alpina, tra la Svizzera e l’Austria. La Lombardia è a un tiro di schioppo ma LGT, che del Principato è la principale banca, è sempre stata titubante all’idea di varcare il confine italiano alla conquista dell’interessante mercato della Penisola. Ora, però, le cose stanno per cambiare: a Milano, nei mesi scorsi, è stata costituita LGT Italia Sim, società con cui il gruppo bancario del Liechtenstein vuole ritagliarsi uno spazio significativo a sud delle Alpi, affidandosi alla guida di un manager esperto: Andrea Cingoli, ex amministratore delegato di Banca Esperia, con una lunga esperienza nel settore finanziario.

LGT ITALIA SIM non è una banca ma una società di intermediazione mobiliare. La sostanza però non cambia: il suo obiettivo nei prossimi anni sarà quello di conquistare la clientela di fascia medio-alta, che dispone di molti soldi da investire e si avvale di solito dei servizi di private banking. I grandi investitori sono infatti sempre stati il punto di riferimento del gruppo LGT, che ha ben 58 sedi in tutto il mondo, dall’Europa all’America passando per l’Asia e ha soprattutto una particolarità: è l’unico gruppo finanziario privato del Vecchio Continente controllato da una famiglia regnante. Stiamo parlando dei principi del Liechtenstein, dinastia capace di coniugare il fiuto per gli affari con il sangue blu.

AMMINISTRATORE delegato e presidente di LGT Group è infatti Massimiliano Nicola Maria di Liechtenstein, classe 1969, secondogenito del principe Giovanni Adamo II (il sovrano regnante) e fratello minore dell’erede al trono, Luigi Filippo Maria. La presidenza del consiglio di amministrazione è invece occupata da un altro principe, Filippo Erasmo del Liechtenstein, fratello minore di Giovanni Adamo. Il casato ha quasi mille anni di storia alle spalle mentre le loro attività nel campo finanziario è iniziata circa un secolo fa. Risale al 1920, infatti, la fondazione di una banca del Liechtenstein, di cui la famiglia regnante diviene azionista di maggioranza solo un decennio più tardi, nel 1930.

DOPO l’apertura di una sede a Londra negli anni ’80, il grande salto di qualità per la banca avviene con l’inizio del terzo millennio, nell’era della finanza globalizzata, quando LGT si internazionalizza e guarda con sempre maggiore attenzione ai nuovi ricchi dell’Asia e dei paesi emergenti, bisognosi di operatori specializzati e di lunga tradizione per gestire le loro fortune. È proprio grazie all’espansione internazionale e alla globalizzazione che LGT è diventata ciò che è oggi: un grande gruppo finanziario con un patrimonio in gestione di 215 miliardi di franchi svizzeri, cresciuto dell’8% nel primo semestre di quest’anno. Si tratta di cifre notevoli, ben superiori a quelle di molti istituti italiani specializzati nel private banking o nella consulenza finanziaria. Eppure, benché il mercato del nostro Paese sia già molto affollato di concorrenti, evidentemente fa ancora gola alla banca dei Principi. La spiegazione di questo interesse è semplice: nella Penisola il settore del private banking e del wealth management (cioè la gestione della ricchezza dei grandi investitori) continua a crescere a ritmi sostenuti e ha ancora margini di sviluppo non trascurabili.

SECONDO le stime di società di ricerca come Magstat e di associazioni di categoria come Aipb, c’è ancora una buona fetta di nostri connazionali che, pur possedendo una ricchezza cospicua, non si avvale dei servizi di private banking e gestisce il proprio patrimonio in forme un po’ più rudimentali, senza affidarsi a professionisti specializzati. Questo potenziale mercato non ancora coperto dai big del private banking rappresenta dunque un terreno di conquista appetibile e, sempre secondo le stime degli analisti, vale nel complesso oltre 200 miliardi di euro. Anche a sud delle Alpi, insomma, i paperoni non mancano.

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