Bollette e rincari, anche la birra è più amara

L’allarme del ceo di Heineken: "Con queste bollette ci tocca far salire i prezzi". Possibile un aumento del 15%

Un momento dell’Oktoberfest

Un momento dell’Oktoberfest

D’oh! L’espressione di disappunto di Homer Simpson, il giallo protagonista del cartoon di Matt Groening, grande bevitore di birra, è più che giustificata. Il mondo del malto fermentato è scosso dalle parole del ceo di Heineken, Dolf Van den Brink, che ha annunciato una "coraggiosa politica di aumenti" per rispondere ai "prezzi folli" alla produzione dovuti all’aumento delle bollette e delle materie prime, che si ripercuotono su tutta la filiera. "Non ho mai visto nulla del genere in 24 anni – si è lamentato Van den Brink al Financial Times –. Non esistono modelli previsionali che possano gestire questo tipo di inflazione. È semplicemente fuori scala, cerchiamo di indovinare quale impatto ci sarà sui volumi a causa di tutti questi rincari".  

Terminale ultimo, i consumatori. Che potrebbero veder aumentare il costo della bottiglia/lattina del loro alcolico preferito del 15-20%, prefigurano gli esperti. Ci si aspetta un effetto a catena su tutto il settore: il colosso con sede ad Amsterdam, primo in Europa e secondo al mondo (dopo la fusione tra la belga AB-InBev e la britannica SABMiller), produce 200 milioni di ettolitri di birra all’anno ed è proprietaria dei 250 marchi, tra cui Amstel, Affligem, Murphy’s, Birra Moretti e Ichnusa.  

Attualmente, nei pub, una pinta costa circa 6 sterline a Londra e 9 dollari a New York, in Italia – per un bicchiere medio – siamo attorno ai 5-6 euro. La birra è la bevanda alcolica più diffusa al mondo: costituisce il 42% del totale dei prodotti venduti, con un giro d’affari complessivo di 550 miliardi (secondo l’ultimo Wine Report di Cross Border Growth Capital). Le aziende – nonostante i buoni conti dell’anno di Heineken – non sono ancora del tutto uscite dalla spirale recessiva causata dalla pandemia, che ha impattato violentemente sul settore.

In Giappone, ad esempio, il gruppo Asahi (che controlla anche Birra Peroni) sta pianificando la chiusura di due dei suoi stabilimenti nella prefettura di Kanagawa a sud di Tokyo e nella prefettura di Ehime, nel Giappone occidentale. Si tratta di fabbriche che producono grandi bottiglie destinate a ristoranti e bar, il cui consumo è crollato con l’avvento del virus. Proprio per questo, Asahi ha deciso di chiudere i due siti produttivi, disperando in un futuro aumento del consumo domestico della birra.

E in Italia? Il settore non è naturalmente al riparo dai maxi rincari di energie e materie prime, come spiega Alfredo Pratolongo, presidente di Assobirra, che raggruppa aziende che producono il 92% della birra del nostro Paese. "Siamo una filiera complessa, che va dall’agricoltura alla produzione e arriva al consumatore attraverso logistica e trasporti – aggiunge Pratolongo –, gli aumenti si sono sentiti in tutti gli anelli di questa catena". In questo quadro, la birra, unica tra le bevande da pasto, è gravata da accise: il governo, nell’ultima manovra, le ha scontate, ma solo per il 2022. "Provvedimento che abbiamo accolto con favore", chiosa Pratolongo, aggiungendo però che andrebbero ridotte o meglio cancellate in modo strutturale: "Sono anacronistiche, visto che la birra fa parte delle abitudini degli italiani ormai da 15 anni". Sarebbe una spinta ulteriore a un settore che ha sofferto molto i due anni di Covid: il 60% della birra prodotta in Italia finisce in pub, bar e ristoranti, il canale Ho.Re.Ca.

Sugli aumenti, infine, il presidente di Assobirra osserva che "un equilibrio fra le esigenze del consumatore e quelle dei componenti della filiera andrà trovato", ma ricorda anche come il rapporto qualità/prezzo della birra italiana sia tra più vantaggiosi in assoluto.