Reddito di cittadinanza: basta poco per perderlo. Tempi di revoca più corti

Se rifiuti il lavoro addio sussidio. La Lega frena ma Fratelli d’Italia e FI spingono per un giro di vite

Che il Reddito di cittadinanza sarà rivisto e ridimensionato non ci sono riserve nel governo e nella maggioranza. Ma, alla vigilia dell’intervento correttivo in manovra, si oscilla tra la soluzione più soft, sostenuta dalla Lega (che votò quello in vigore durante l’alleanza con i grillini), e quella più drastica, sulla quale puntano Giorgia Meloni e la stessa Forza Italia. Tant’è che al Ministero del Lavoro e a quello dell’Economia non si è arrivati per il momento a una definizione del possibile intervento. Anche se appare evidente l’obiettivo di recuperare almeno un miliardo di euro per finanziare Quota 41 per le pensioni. La Lega, con il sottosegretario Claudio Durigon spinge per un sussidio "rinnovabile per periodi sempre più brevi e con un assegno a scalare", con uno stop per chi "rifiuterà anche una sola offerta". Si tratta, a ben vedere, di un percorso di uscita dalla formula attuale che lascia un ampio margine temporale a coloro che ricevono il beneficio e che sono nelle condizioni di lavorare.

Flat tax riforma, due nuove soglie allo studio. Scopri quali

Pensione anticipata 2023, come uscire prima dal lavoro. Le opzioni per classe di età

Reddito e pensione di cittadinanza
Reddito e pensione di cittadinanza

Lo stesso Durigon spiega che la proposta della Lega "è più morbida di altre che circolano nella coalizione, ma si muove nello stesso solco". La soluzione "prevede, dopo i primi 18 mesi di Reddito, che si possa andare avanti al massimo per altri due anni e mezzo, ma con un décalage". In sostanza, ci sarebbe una verifica, con relativa sospensione, ogni sei mesi circa. E a ogni prosecuzione, nel caso che non si sia trovato lavoro, il sussidio verrebbe tagliato del 25 per cento. Il sussidio, del resto, verrebbe cancellato a chi dovesse rifiutare anche una sola offerta di lavoro, a differenza di oggi, quando sono previste due offerte cosiddette congrue. Ma, per sostenere la possibilità di garantire davvero un lavoro ai percettori del Reddito si punterebbe non tanto o non solo sui centri per l’impiego pubblici, ma sulle decisamente più efficienti agenzie private per il lavoro.

La versione più drastica che circola nella maggioranza e nel governo contempla, al contrario, un deciso taglio dei tempi di revoca in caso di inattività del destinatario. In entrambe le ipotesi nel mirino non finirebbero i poveri che non possono lavorare (per i quali si prevede un incremento dell’assegno), ma i 660 mila tenuti alla sottoscrizione del Patto per il lavoro e probabilmente anche i 173mila che già lavorano (ma con retribuzioni così basse da ottenere il sussidio). E analogamente in entrambe le soluzioni l’erogazione del Reddito verrebbe affidata ai Comuni e non più all’Inps, per sottolineare maggiormente l’aspetto assistenziale e di welfare della misura.