Giovedì 25 Aprile 2024

Recovery Fund, vantaggi e costi. Perché l’Europa ci serve

Il Consiglio Ue deve dare il via a un maxi piano aiuti: sul piatto per noi 172 miliardi. La trattativa è difficile, L'Italia deve affrontare l’opposizione dei nordici

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Sul tavolo del vertice dei 27 Paesi europei (cominciato ieri e in corso anche oggi) c’è la bozza per un’intesa fatta girare il 10 luglio dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel. I punti su cui raggiungere un difficile accordo, e relativi alle proposte della Commissione Ue, sono due. Il primo riguarda il bilancio comune pluriennale (Mff) di 1.074 miliardi (l’1,05% del Pil Ue) per sette anni (2021-2027), su cui a febbraio, prima dello stop imposto dalla pandemia, non si era trovato un accordo. Il secondo è il Recovery Fund. Il fondo da 750 miliardi, ribattezzato dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen Next Generation Eu (Ngeu). Il fondo, da suddividere in prestiti e finanziamenti a fondo perduto tra i Paesi Ue (Italia in primis a cui spetterebbero complessivamente 172,7 miliardi), servirà per uscire dalla recessione economica innescata dal Covid-19 con un’Europa più forte, più verde e più digitale. Nel bilancio è prevista anche una riserva speciale di 5 miliardi a sostegno dei Paesi e dei settori colpiti dalla Brexit. Degli sconti (rebates) sui contributi al bilancio beneficeranno Danimarca, Germania, Olanda, Austria e Svezia.

2 - Chi è a favore? 

Il vertice del 19 giugno non era riuscito a raggiungere un accordo, ma allora non era ancora iniziata la presidenza di turno tedesca di Angela Merkel che, con il presidente francese Emmanuel Macron, avrà un ruolo di mediazione per cercare un’intesa destinata a passare da un compromesso. A favore del Recovery Fund e del bilancio senza riduzioni e ulteriori condizionamenti sono i Paesi del Mediterraneo, a partire da Italia, Francia, Portogallo e Spagna. Quest’ultima, dopo il nostro, sarebbe il Paese maggiormente beneficiario del Recovery Fund con 140 miliardi mentre a Francia e Germania andrebbero, a fondo perduto, rispettivamente 39 e 29 miliardi.

3 - Chi si oppone? 

Il fronte dei Paesi contrari all’accordo è capeggiato dall’Olanda che vuole una riduzione del Fondo e più garanzie nella distribuzione delle risorse. La minaccia di porre il veto chiedendo una votazione all’unanimità del Consiglio sui piani nazionali non è però destinata a passare. Sulla stessa linea ci sono gli altri cosiddetti frugali del Nord (Danimarca, Svezia, Austria). I Paesi del Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) spingono per avere una quota maggiore a scapito di Italia, Francia e Spagna.

4 - Come si trovano le risorse?

Il Recovery fund sarà finanziato con prestiti sottoscritti sul mercato dei capitali dalla Commissione europea per conto dell’Unione fino a un massimo di 750 miliardi. L’emissione di debito Ue non potrà andare oltre la fine del 2026. Dal 2027 inizieranno i rimborsi che si dovranno concludere entro il 2058. I 750 miliardi raccolti sul mercato saranno usati per erogare prestiti agli Stati membri, fino a un massimo di 250 miliardi, e per sovvenzioni a fondo perduto, gli altri 500 miliardi. Il 70% delle risorse sarà assegnato tra il 2021-2022, il restante 30% nel 2023 in base alla riduzione del Pil nel biennio precedente.

5 - Cosa vuole l'Italia?

Alla presentazione, a fine maggio, del Recovery Fund da parte della Commissione Ue, il premier Giuseppe Conte aveva parlato di "ottimo segnale". Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri puntano a un esito tempestivo e rapido del negoziato opponendosi al ridimensionamento della proposta della Commissione. Del resto il nostro Paese avrebbe il maggiore contributo per affrontare le spese dell’emergenza Covid e il rilancio dell’economia: 172,7 miliardi, 81,8 dei quali a fondo perduto. Per l’utilizzo di questi fondi l’Italia, come gli altri Paesi, dovrà presentare un piano nazionale (è in discussione quello delle riforme) che la Commissione dovrà approvare entro due mesi tenendo conto nella valutazione della crescita potenziale, della creazione di posti di lavoro e dell’impatto sociale ed economico sulla transizione verde e digitale. Se durante il negoziato l’Italia fosse costretta a compromessi, cederebbe sul fronte di alcuni singoli programmi (come il Just Transition per la transazione verde o gli aiuti umanitari) ma non sulla parte riservata ai piani di rilancio, cioè la Recovery and resilience Facility.

 

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