Recovery Fund: l’Ue cerca tasse. Muro degli Stati

Dal carbonio al digitale si cercano fondi per il piano. Ma i Paesi voltano le spalle alla fiscalità comune

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, 62 anni

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, 62 anni

Dal mercato del carbonio e dai big del digitale dovranno venire i mezzi per il servizio del debito che la Commissione europea sta per accollarsi nell’ambito del piano di risanamento dell’economia europea post-Covid da 750 miliardi di euro, il Next Generation Eu. Bruxelles sta studiando le nuove fonti di reddito, mentre si appresta a emettere i primi bond europei, che dovrebbero debuttare sul mercato a giugno, ma deve fare i conti con profonde divisioni tra gli Stati membri, che come sempre sono concentrati sugli interessi nazionali più che sullo sviluppo di una fiscalità comune, sollecitata più volte da Mario Draghi, prima come presidente della Bce e ora come premier europeista del Paese che riceverà la fetta più grande del Recovery Fund.

La Commissione europea sta lavorando su un approccio su tre fronti per raccogliere i 13 miliardi di euro di entrate all’anno che serviranno per il servizio del debito. In base alle prime indiscrezioni, i tecnici di Bruxelles puntano molto sul mercato europeo del carbonio, l’Eu Ets, che in questi ultimi mesi ha raddoppiato i prezzi, superando per la prima volta nella sua storia i 40 euro alla tonnellata di CO2. La Commissione ha in mente un’espansione dell’Ets, che assegna ogni anno un certo numero di diritti di emissione alle industrie energivore europee, da rivendere sul mercato quando riescono a tagliare le proprie emissioni con l’efficienza e da acquistare quando inquinano più del previsto, in base al principio "chi inquina paga". Alcuni elementi del mercato, tra cui il tetto massimo complessivo, saranno rivisti a giugno, e si prevede l’inclusione del settore marittimo e dei trasporti su gomma.

In secondo luogo si lavora sull’idea di applicare un sovrapprezzo ai confini europei sui prodotti importati, in base alla loro intensità di carbonio. Così si ridurrebbe la convenienza a delocalizzare le produzioni energivore in altre aree del mondo e si proteggerebbe l’industria europea dai concorrenti esteri ad alta intensità di carbonio, provenienti da mercati senza regole.

Questa imposizione applicherebbe indirettamente le quotazioni dell’Ets anche ai mercati esterni all’Ue. Questa espansione consentirebbe di raccogliere oltre la metà delle risorse necessarie.

Il terzo cespite potrebbe essere una web tax più rigorosa nei confronti dei giganti del digitale. Bruxelles però avrà difficoltà a ottenere il sostegno degli Stati membri su queste proposte, non solo per la complessità della progettazione di tasse e prelievi, ma soprattutto per la riluttanza di molti governi, in primis quello olandese, verso una fiscalità comune, nonostante l’accordo dell’anno scorso sulla necessità per la Commissione di raccogliere risorse proprie per ripagare il debito che sta per emettere.