Recovery fund, cos'è. Le due ipotesi in ballo e la differenza coi Coronabond

Nella videoconferenza tra i grandi dell'Ue si decide la strategia per il rilancio post-Covid. Ecco le opzioni in campo, con pro e contro

La videoconferenza con i leader Ue (Ansa)

La videoconferenza con i leader Ue (Ansa)

Bruxelles, 23 aprile 2020 - Sul tavolo del Consiglio europeo di oggi c'era l'European Recovery Fund (con annessi possibili Recovery bond). Un tema su cui "abbiamo fatto grandi progressi", ha detto il premier Giuseppe Conte. Il fondo verrà presentato il 6 maggio e solo allora, probabilmente, ne conosceremo i dettagli. Già oggi, però, possiamo dire di cosa si tratta e quali sono le differenze con i Coronabond, a cui Conte inizialmente non voleva rinunciare. 

Un fondo per la 'ricostruzione' post-Covid

L'European Recovery Fund è un fondo per aiutare i Paesi più colpiti dalla crisi Covid-19, come l'Italia e la Spagna. Per sostenere la loro ripartenza (quindi non con un pagamento legato strettamente ai presidi sanitari come i 36 miliardi per il nostro Paesi erogati con il Mes 'light'). Il finanziamento arriverebbe dall'emissione di Recovery bond, nuovi titoli di debito garantiti dal bilancio settennale dell'Ue 2021-2027. Secondo le indiscrezioni dell'ultimo minuto, la proposta della Commissione europea prevedeva un ammontare di 320 miliardi. "Parliamo di migliaia di miliardi", ha detto invece la Von der Leyen al termine della videoconferenza con i leader Ue  Resta però il nodo della 'mutualizzazione' del debito, ovvero le modalità di condivisione tra tutti gli Stati di questo 'fardello' debitorio, anche se si va verso una ipotesi di compromesso che unisce le due visioni.

I Recovery bond nell'ipotesi rigorista

I Paesi più rigoristi (e meno colpiti dalla crisi Covid-19) come Germania e Olanda, puntano a uno schema secondo il quale il denaro raccolto sui mercati con le euro obbligazioni verrebbe immediatamente redistribuito agli Stati membri più colpiti attraverso prestiti ("loans") di lungo termine (almeno 25-30 anni) a interessi bassissimi, con un evidente vantaggio per la sostenibilità del loro debito pubblico, che tuttavia aumenterebbe comunque, e in modo sostanziale. Il debito, emesso in comune, resterebbe dunque nazionale, in capo ai Paesi beneficiari, che rimarrebbero responsabili del pagamento degli interessi e del suo rimborso alla scadenza. Un pò come avviene per il Mes (ma qui sarebbe all'interno del quadro Ue, sotto la gestione della Commissione e senza alcuna minaccia di condizionalità neanche nascosta o futura). 

I Recovery bond a fondo perduto

Sul tavolo, però, c'è anche una controproposta - portatata avanti con sfumature diverse da Francia e Spagna in particolare - prevede che, oltre all'emissione e le garanzie, venga mutualizzato anche il pagamento del debito emesso in comune e dei relativi interessi, che resterebbe in capo al bilancio dell'Ue e non andrebbe ad aumentare il debito pubblico nazionale dei Paesi beneficiari. I fondi raccolti con le obbligazioni verrebbero utilizzati per programmi comunitari finanziati da Bruxelles a fondo perduto ("grants"). Il premier Sanchez, ad esempio, parla chiaramente di obbligazioni senza scadenza. Su questo, i Paesi del Nord hanno finora fatto muro.

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L'ipotesi di compromesso

Il negoziato pare però indirizzato verso un compromesso che arrivi a una soluzione ibrida. La Commissione Ue, infatti, prevede che la metà de fondi vadano a finanziare prestiti agli Stati membri; l'altra meta' dovrebbe essere utilizzata per stanziamenti diretti attraverso il bilancio Ue. La restituzione dovrebbe avere un orizzonte temporale molto lungo. 

Il fattore tempo

Un altro tema su cui si discute è quello della velocità con cui queste obbligazioni dovrebbero essere erogate. Il Consiglio europeo sembra vicinissimo a un accordo su consistenza e modalità del Recovery fund, anche se pare che le procedure per la messa in campo di questi strumenti ne facciano slittare l'applicazione a giugno. In questo caso, si capisce come i 36 miliardi del Mes light, disponibili in poche settimane da quel che si è appreso, risultino ancora più importanti. 

E i Coronabond dove sono finiti?

Che fine hanno fatto i Coronabond su cui il governo italiano aveva puntato tutto? In realtà, non essendo mai stati usati nemmeno i loro cugini Eurobond (di cui si parla da almeno un decennio), pare che anche questa volta debbano aspettare. Si tratta comunque di titoli garantiti da tutti i Paesi dell’Eurozona. L’idea è creare un meccanismo solidale di distribuzione dei debiti tra gli Stati europei, per il quale, quando un Paese chiede in prestito liquidità per finanziarsi, il debito sia suddiviso tra tutti gli Stati membri mediante la creazione di obbligazioni del debito pubblico dei Paesi stessi. Come il tesoro italiano fa con bot e btp. Torna dunque il nodo della mutualizzazione del debito, a cui Germania e Paesi del Nord stanno particolarmente attenti, e inoltre non mancano le incognite. Ad esempio, bisognerebbe capire concretamente chi emette questi bond. Si parla genericamente di una ‘istituzione europea’, qualcuno ha individuato questo soggetto nella Banca europea per gli investimenti (Bei), che però ha già in campo i suoi strumenti. Ma, appunto, sebbene se ne sia parlato in altre circostanze, lo strumento dell’Eurobond-Coronabond resta ancora poco definito. Di certo, la ‘garanzia comune’ a cui si fa riferimento spaventa i Paesi del Nord. 

 

 

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