Venerdì 19 Aprile 2024

Il rapporto Istat 2022 fotografa l'Italia: calano le nascite ma crescono le famiglie

Notevolmente cambiata anche l’immigrazione. L’ultimo decennio è stato caratterizzato dal radicamento sul territorio dei migranti arrivati nei decenni passati e da un rilevante mutamento dei nuovi flussi migratori in arrivo

Migration

Secondo le rilevazioni del Rapporto Annuale Istat, la popolazione italiana continua a diminuire nel 2021, un crollo cominciato nel 2014 e che ancora non si arresta: il primo gennaio 2022 il numero di italiani è di circa 58 milioni 983mila unità, cioè 1 milione 363mila in meno nell’arco di 8 anni.

Ma il calo demografico è solo una delle tendenze che si confermano nello scorso anno. A seguire c’è quella che riguarda l’invecchiamento della popolazione, che prosegue con una longevità sempre più marcata: gli anziani over 65 sono 14 milioni 46mila a inizio 2022, 3 milioni in più rispetto a venti anni fa, un dato pari al 23,8% della popolazione totale. L'indice di vecchiaia (rapporto percentuale tra anziani di 65 anni e più e giovani di età inferiore a 15 anni) è pari a 187,9%, aumentato in vent'anni di oltre 56 punti. Gli over 80 superano i 4,5 milioni, mentre si confermano interessanti anche le rilevazioni che riguardano i centenari: il numero raggiunge le 20mila unità, quadruplicandosi negli ultimi 20 anni.

Guardando al prossimo futuro, le previsioni non sono incoraggianti: nel 2042 gli over 65 saranno quasi 19 milioni, il 34% della popolazione.

LE FAMIGLIE E I GIOVANI

Nonostante il crollo demografico, il numero delle famiglie aumenta: 25,6 milioni nel 2020-2021. L’apparente contraddizione si spiega con il numero medio di componenti del nucleo che scende a 2,3 (da 2,6 del 2000-2001). La maggior parte sono coppie senza figli, mentre aumentano le famiglie costituite da una sola persona, passate dal 24% del totale di inizio millennio al 33,2%.

Anche l’età media a cui si sceglie di avere un figlio si estende. Se nel 1995 il parto veniva effettuato mediamente intorno al 30esimo anno, siamo arrivati a quota 32,2 nel 2020. Il numero medio di bimbi per donna è di 1,24, lo stesso del 2001. La fecondità delle donne straniere si conferma superiore a quella delle italiane, anche se in diminuzione.

Approfondendo il tema dei nuclei familiari, vengono rilevati poco più di 7 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono in casa con i genitori (circa il 67,6%), in aumento rispetto al 2010 – periodo di riferimento poiché relativo alla Grande recessione.

La situazione più critica è al Sud, dove i giovani in casa con i genitori sono circa il 72% (contro il 63,7% del Nord), e dove ci sono il doppio di ragazzi disoccupati (35%) rispetto al Nord.

GLI STRANIERI E I NUOVI CITTADINI

È possibile individuare almeno tre fasi nella storia dell’immigrazione in Italia: un primo periodo di moderata immigrazione, negli anni Settanta e Ottanta, una seconda fase di crescita inattesa e straordinaria, nei due decenni seguenti, per arrivare alla fase più recente caratterizzata dalla crisi economica e dalle emergenze umanitarie, durante la quale flussi di nuovi arrivati in cerca di protezione internazionale si sono aggiunti a una presenza straniera ormai radicata sul territorio e alimentata da flussi prevalentemente per motivi familiari. Durante quest’ultima fase la crescita della presenza straniera è rallentata rispetto al ritmo sostenuto registrato dalla fine degli anni Novanta fino ai primi anni Duemila grazie ai procedimenti di regolarizzazione (in particolare quelli legati alle leggi n. 189 e n. 195 del 20027). La popolazione straniera in Italia al 1° gennaio 2022 è di 5 milioni e 193 mila e 669 residenti8. Nel 2019 ammontava a 4.996.158 e quindi, in tre anni, è aumentata di meno di 200 mila unità. Negli anni precedenti (tra il 2015-2016 e tra il 2016-2017) si era registrata addirittura una lieve diminuzione

Alla base del rallentamento si collocano sia la riduzione dei flussi migratori in arrivo – dovuta anche alla stretta dell’Italia sui decreti per la programmazione degli ingressi – sia l’assenza per lungo tempo di provvedimenti di regolarizzazione che in passato avevano dato luogo ai picchi nella registrazione anagrafica dei migranti. Per comprendere però pienamente le reali dinamiche migratorie degli anni recenti si deve considerare anche un altro aspetto di crescente rilevanza nel nostro Paese, così come già avvenuto in paesi da più lungo tempo meta di immigrazione: l’acquisizione della cittadinanza. Tra il 2011 e il 2020 oltre 1 milione e 250 mila persone hanno acquisito la cittadinanza italiana e si può stimare che al 1° gennaio 2021 i nuovi cittadini per acquisizione della cittadinanza residenti in Italia siano circa 1 milione e 600 mila, al 1° gennaio 2020 erano circa 1 milione e 517 mila. Considerando l’insieme della popolazione con background migratorio (stranieri e italiani per acquisizione della cittadinanza) la popolazione di origine straniera ha continuato a crescere, anche se non ai ritmi del passato, raggiungendo al 1° gennaio 2021 la quota di quasi 6 milioni e 800 mila residenti (Figura 3.19). L’acquisizione di cittadinanza non ha solo conseguenze dirette sull’ammontare della popolazione straniera – e specularmente di quella italiana – ma anche indirette. Ad esempio, i potenziali genitori che acquisiscono la cittadinanza italiana metteranno al mondo figli italiani e alcuni matrimoni, in apparenza misti (uno sposo italiano e l’altro straniero), potrebbero in realtà essere tra persone della stessa origine anche se non della stessa cittadinanza.

L'IMPATTO DELLA PANDEMIA SULLE ABITUDINI DEGLI ITALIANI

A poco più di due anni dall’inizio dell’emergenza sanitaria, è possibile tracciare un accurato bilancio sulle sue conseguenze sul tessuto sociale e produttivo del nostro Paese. Con 16 milioni di contagi e oltre 160 mila decessi associati alla diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 tra marzo 2020 e aprile 2022, l’Italia è stata, con la Spagna, fra i paesi Ue maggiormente colpiti, soprattutto nella prima fase. Nel confronto con il quinquennio prepandemico 2015-2019, l’eccesso di mortalità registrato è stato particolarmente elevato nel 2020, specialmente tra la popolazione anziana e in condizione di fragilità, mentre già nel corso del 2021 l’avvio della campagna vaccinale ha avuto un impatto positivo nel contrastare la diffusione della malattia e nel ridurre la mortalità ad essa associata.  Ad aprile 2022, l’Italia, con l’80,1 per cento di vaccinati con ciclo primario, si collocava al terzo posto della graduatoria dell’Ue, dopo Portogallo e Malta. Secondo i dati raccolti da Eurobarometro, abbiamo ottenuto la qualifica di Paese con la maggiore adesione alle politiche sanitarie adottate a livello governativo.  L’emergenza sanitaria ha modificato le abitudini della popolazione, con un impatto rilevante sui vari aspetti della quotidianità: sull’organizzazione della giornata, sugli stili di vita, sul modo in cui sono state coltivate le relazioni parentali e amicali, sul tempo libero, sul lavoro. Gli stravolgimenti della vita quotidiana conseguenti al lockdown del bimestre marzo-aprile 2020 si sono attenuati nei mesi successivi e sono stati trasversali. 

POVERTÀ E LAVORO

Proprio a partire dalla popolazione più giovane emergono dati interessanti anche per quanto riguarda il settore lavorativo e il benessere economico. Il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato nell’arco di 15 anni, passando da 1,9 milioni nel 2005 a 5,6 milioni (9,4% del totale) nel 2021.

Nello stesso arco temporale, tra i più giovani (18-24 anni) le condizioni di indigenza risultano tre volte più frequenti, con l'incidenza che ha raggiunto l'11,1%, valore di quasi quattro volte superiore a quello del 2005, il 3,1%).

Nel settore lavorativo privato risultano quasi 1 milione di dipendenti che percepiscono meno di 8,41 euro all'ora e una retribuzione totale al di sotto di 12mila euro l'anno. Il numero sale a 4 milioni di dipendenti

"Le misure di sostegno economico erogate nel 2020, in particolare reddito di cittadinanza e di emergenza, hanno evitato a un milione di individui (circa 500mila famiglie) di trovarsi in condizione di povertà assoluta". L'intensità della povertà, senza sussidi, nel 2020 sarebbe stata di 10 punti percentuali più elevata, raggiungendo il 28,8% (a fronte del 18,7% osservato).