Venerdì 19 Aprile 2024

Quota 100, la classe del ’59 fugge in pensione. Per evitare lo scalone mini-penalità annue

Nel 2021, la fine dell’anticipo e la crisi Covid spingono tanti a lasciare il lavoro: in totale potrebbero essere 700mila persone

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Rom, 28 settembre 2020 - La fine annunciata di Quota 100 a partire dal 2022, insieme ad altri fattori come la drammatica crisi economica, potrebbe generare una fuga di massa verso la pensione, l’anno prossimo, per coloro che conquisteranno le soglie richieste (38 anni di contributi e 62 di età) nel 2021 o negli ultimi mesi di quest’anno.

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In pole position i nati nel 1959, ma anche quelli nati tra il ’58 e il ’55 che raggiungono i 38 anni di contributi nei mesi a venire. In totale, secondo stime di sindacati e addetti ai lavori, si potrebbe arrivare a circa 300mila uscite anticipate.

Che, sommate ai pensionamenti di vecchiaia e di altra natura, potrebbe far arrivare a quota 650-700 mila i numeri dell’esodo dal lavoro, circa 150-200 mila lavoratori in più rispetto al 2019. Con una concentrazione notevole nei settori più a rischio licenziamento (turismo, commercio, servizi) o in quelli di maggiore sofferenza (scuola, sanità, forze dell’ordine).

Insomma, la conferma definitiva del premier Giuseppe Conte sulla chiusura di Quota 100 alla scadenza prevista dei tre anni di sperimentazione se, da un lato, va incontro alle richieste di Pd, Italia Viva e soprattutto dell’Europa, dall’altro, determina una corsa all’uscita anticipata. All’orizzonte c’è il rischio di uno scalone di 5 anni (perché rimane in vigore l’età dei 67 anni per la vecchiaia): sindacati e governo stanno cercando soluzioni per evitarlo, ma qualunque modalità si troverà, sarà meno vantaggiosa di quella attuale. Da quota 102 (38 anni di contributi e 64 di età) a formule che contemplano penalizzazioni (dai 63 anni ma con 1-2% in meno per ogni anno mancante rispetto ai 67), dalla previsione di uscite differenziate in relazione al lavoro svolto (attività gravose come stabilite per l’Ape social), come suggerito dallo stesso Conte, fino altre varianti più complesse, una cosa è certa: si tratta di soluzioni più svantaggiose e più costose del sistema attuale.

Si obietta anche, però, che coloro che maturano Quota 100 ora o nei prossimi mesi, possono andare ugualmente via alle stesse condizioni anche nel 2022 o in seguito. Ma, dai patronati come dai sindacati, si osserva che la quota di chi sa che "si può tenere in tasca" il diritto acquisito è minima.

Il punto – insistono dal sindacato – è che, all’allarme derivante comunque dalla fine del meccanismo, si sommano altri fattori eccezionali derivanti dall’emergenza economica dovuta alla pandemia. I lavoratori sessantenni del privato che oggi si ritrovano in cassa integrazione, con la prospettiva di un altro anno di cassa o con quella del licenziamento (una volta finito il blocco), non vedono l’ora di potere agganciare la pensione.

È una platea consistente se si pensa che parliamo dei figli del baby boom, nati nella seconda metà degli anni Cinquanta, e che hanno cominciato a lavorare tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta.

Il discorso è differente per il pubblico impiego. L’età media dei dipendenti pubblici è ugualmente elevata: si pensi che gli ultra-cinquantenni sono oltre la metà del totale, circa un milione e 700 mila addetti. Ma non c’è il rischio cassa integrazione o licenziamento.

In determinati ambiti, però, anche per effetto della pandemia, si sono create condizioni di "sofferenza" che spingono a lasciare quando si può. E così dalla scuola, secondo i sindacati del settore, dovrebbero andare via in circa 60mila (non solo per Quota 100) tra insegnanti e personale amministrativo. Analogamente, altri 30-40mila potrebbero andare via dalla sanità. E numeri anche più elevati potrebbero riguardare le uscite dai comparti della sicurezza.

 

 

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