Comunicare con un podcast: la signora delle "pillole vocali"

Manuela Ronchi

Manuela Ronchi

Francesco Gerardi

MILANO

GLI EGIZI credevano che il dio Thoth potesse creare qualunque cosa solo pronunciandone il nome. E la medesima fede nel potere creativo della voce ricorre in tutte le civiltà: dai testi indù al canto della creazione dei pellerossa, fino all’evangelico «In principio era il Verbo». La moderna era dell’immagine non è molto più che un battito di ciglia di fronte al respiro millenario del suono della parola. «È così. I nostri occhi, a forza di guardare immagini, ormai hanno finito di impressionarsi. Hanno troppe cose davanti, e in questa indigestione non vedono più niente. Nel mondo visivo ormai saturo diventa difficile catturare l’attenzione delle persone. Lo si può fare solo tornando alla parola e al suo suono».

Manuela Ronchi da un anno è diventata una pioniera del voice first e si è buttata a capofitto su un ambizioso progetto con i podcast, un mondo che sta facendo sempre più parlare di sé, un fenomeno in vertiginosa espansione a cui sempre più aziende ricorrono come modalità di comunicazione innovativa. Una nuova avventura che arriva dopo una grande carriera nell’organizzazione di eventi e produzione di contenuti, oltre che come manager di campioni indimenticabili: «Ho iniziato con Gerry Scotti – racconta – e poi ho gestito l’immagine di Max Biaggi, Alberto Tomba, Marco Pantani, Gianmarco Pozzecco, Maurizia Cacciatori, Antonio Rossi, Marco Melandri, e ora sono in società con Demetrio Albertini». La sua Action Media Ltd è una delle primissime realtà a produrre contenuti nativi podcast per uso privato e aziendale.

Che potenzialità ha questo nuovo medium?

«Enormi. Dal 2015 gli ascoltatori abituali in Italia sono aumentati del 217% e ora sono quasi 3 milioni. Spotify ha investito 500 milioni di dollari nel mercato podcasting e Netflix acquista contenuti nativi podcast rendendoli programmi e serie tv di successo. Pensi alla serie ‘Homecoming’ con Julia Roberts e al podcast di Gwyneth Paltrow ‘The Goop’. Chanel e Gucci hanno i loro podcast in cui si parla di moda e non solo».

Come le è venuta l’idea?

«Ho sempre sperimentato nuovi linguaggi e ho osservato con curiosità i miei figli incollati allo schermo per guardare i gamers in azione, gente che fa miliardi di visualizzazioni. E invece che giudicare con supponenza da adulto ho voluto capire il meccanismo. hanno successo perché fanno edutainment: mentre giocano, insegnano. Da un lato ho tratto ispirazione da loro, dall’altro mi ha instradato sui podcast un giovane filosofo italiano che sta a Londra e altri grandi esperti di tecniche di negoziazione e comunicazione che ci supportano e sviluppano skills anche per l’assistente vocale Alexa».

Perché le grandi aziende si interessano al podcast?

«Sono un modo unico, emozionale e pratico per comunicare. Si possono fare ‘pillole vocali’ in cui un contenuto viene trasmesso sotto forma di narrazione, o per raccontare il lancio di un prodotto. Tramite i podcast i capi d’azienda possono comunicare personalmente con i dipendenti, facendoli sentire al centro delle strategie come se fossero in cda».

Sta nascendo un intero mondo vocale…

«Il futuro è dei ‘podcaster’, che soppianteranno gli youtuber. Nuove professioni come il ‘soundteller’, chi racconta i brand attraverso il suono, si affermeranno. Stiamo collaborando con i migliori attori e doppiatori, come Andrea Piovan, la voce dei documentari della Bbc e di Mediaset».

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