Grano, nuovo record di prezzi: ecco quanto ci costerà mangiare. Domande e risposte

Un chilo di pasta costava 1,33 euro nel 2021, lo scorso mese è arrivato a 2 euro. Ma quali sono i motivi?

L'impennata delle materie prime alimentari

L'impennata delle materie prime alimentari

Il prezzo del grano ha battuto un record assoluto sul mercato europeo, chiudendo ieri a 438,25 euro per tonnellata, dopo l’annuncio dell’embargo indiano all’export di grano per garantire la sicurezza alimentare interna. L’ondata di caldo anomalo che ha recentemente investito il Paese, infatti, ha ridotto drammaticamente il raccolto di quest’anno (-11 milioni di tonnellate rispetto al 2021). E l’inflazione annuale è balzata in India all’8,38%, con i prezzi al dettaglio che in aprile hanno toccato il massimo storico da otto anni. A 24 ore dalla pubblicazione dei report e senza alcun preavviso, il secondo maggior produttore di grano del pianeta (dopo la Cina) ha bloccato con effetto immediato l’export di ogni tipo di grano, salvo per i contratti già firmati con alcuni Paesi. Alla base della svolta protezionistica del governo, il tentativo disperato di fermare la corsa dei prezzi.  L’annuncio di New Delhi ha messo in allarme anche i ministri del G7 riuniti in Germania. Diviene infatti sempre più urgente trovare una soluzione alla crisi del grano, che rischia di affamare, secondo i calcoli della Fao, almeno 275 milioni di persone nel mondo. Quale sarà l’impatto di questi scenari sul nostro Paese?  Lo abbiamo chiesto a Enrica Gentile (foto), fondatrice e ad di Aretè Srl, società di consulenza e analisi economica specializzata in agrobusiness. Secondo i dati elaborati a marzo da Assoutenti, un chilo di pasta costa 2 euro, contro l’euro e 33 centesimi di gennaio 2021 mentre la stessa quantità di pane si avvicina ai 6 euro. É prevedibile che i prezzi salgano ancora.

Quanto incide la guerra sui prezzi?

Il conflitto russo-ucraino incide certamente sui prezzi di alcune materie prime a uso alimentare, dal momento che Russia e Ucraina sono importanti produttori di cereali: insieme assicurano circa il 30% delle esportazioni mondiali di grano. A determinare i rincari, tuttavia, concorrono anche altri fattori: il conflitto contribuisce al caro carburanti e gli eventi climatici fanno sì che i mercati restino in tensione. In Nord America i raccolti di grano tenero sono minacciati dalla siccità ostinata delle scorse settimane, mentre le semine di mais, già in calo, adesso sono in ritardo a causa delle forti piogge. Per quanto riguarda grano duro e legumi, il ripetersi di una stagione siccitosa in Canada (come la scorsa estate) lascia prevedere rese non eccellenti e concorre ai rialzi. Guardando ai prodotti finiti, i rincari sono ormai talmente prolungati, forti e generalizzati, che non potranno non trasferirsi sui mercati al consumo, a cominciare da pane e pasta. Un possibile ribasso delle derrate alimentari non potrà essere rapido anche in caso di un rallentamento della corsa dei prezzi. 

Cosa comporta lo stop all'export di Kiev e Delhi?

I blocchi all’export condizionano pesantemente le quotazioni delle materie prime alimentari sui mercati: è il motivo per cui l’Unione europea si è impegnata a istituire dei corridoi per trasferire le merci attualmente bloccate nei porti del mar Nero, in particolare a Odessa. Si tratta, comunque, di trasferimenti attuati a ritmi ben più lenti del normale. L’India ha bandito l’esportazione di grano e l’Indonesia quella dell’olio per ridimensionare i prezzi sul mercato interno. Tali restrizioni finiscono, tuttavia, per esacerbare l’aumento dei listini sui mercati internazionali e colpire ulteriormente i Paesi più a basso reddito. 

Quanto dureranno le scorte?

Le scorte sono ai minimi storici in tutti i settori dell’agroalimentare: l’obiettivo immediato, dunque, è rimpinguare gli stock, per cercare di arginare l’altissima volatilità dei prezzi.  Né in Europa né in Italia c’è un problema immediato di approvvigionamenti, al contrario di Nord Africa e Medio Oriente: ma siamo comunque esposti alle fluttuazioni dei prezzi, cosa che riscontriamo anche noi consumatori, tutti i giorni, facendo la spesa. 

Da dove arriva oggi il nostro grano?

Tra i grandi produttori di tenero abbiamo alcuni Paesi dell’Unione europea – Francia e Germania in primis – Est Europa, Stati Uniti, Argentina e Australia. Quanto al grano duro, l’Italia è il principale produttore mondiale assieme al Canada, ma il grano arriva anche da altre aree, tra cui Stati Uniti e Kazakistan, e da alcuni Paesi europei come Francia e Spagna. Il mercato del frumento duro è in tensione da almeno un anno, quando il mix di raccolti scarsi e domanda post-Covid in forte ripresa ha innescato la corsa dei prezzi. Si prevede, dunque, che le quotazioni resteranno alte anche nei mesi a venire.

Siamo in grado di aumentare la produzione?

Si potrà lavorare sulla tecnologia, sull’agricoltura di precisione e lo sviluppo di nuove sementi e tecniche di coltivazione in grado di migliorare le rese, ma ciò nel breve periodo non potrà generare effetti dirompenti sulle nostre possibilità di approvvigionamento. L’agricoltura e i cicli produttivi richiedono tempo per adattarsi. I provvedimenti dell’Unione europea (in particolare, il via libera del marzo scorso alla semina in Italia di altri 200mila ettari di terreno, per una produzione aggiuntiva stimata di circa 15 milioni di quintali di mais per gli allevamenti, grano duro per la pasta e tenero per la panificazione, ndr) e dei governi nazionali potranno aiutare a migliorare l’equilibrio sui mercati, ma non c’è margine per stravolgere in modo determinante la nostra capacità produttiva. Tuttavia, una conseguenza a lungo termine della crisi alimentare sarà, senza dubbio, il ridisegnarsi delle filiere, che si stanno progressivamente accorciando e rivedendo, così, quelle strategie di dipendenza dai mercati esteri largamente prevalenti in passato.  

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