Pressione fiscale: quest'anno nuovo record storico al 43,8%

Secondo la Cgia di Mestre, siamo quinti in Europa per peso delle imposte sul Pil. Ma il vero problema è la burocrazia: un imprenditore italiano impiega 30 giorni ogni anno per pagare le tasse contro i 17 di un collega francese

Una contribuente alle prese con le pratiche fiscali

Una contribuente alle prese con le pratiche fiscali

È di nuovo record per la pressione fiscale in Italia: quest’anno raggiunge il 43,8%, un valore che ci vede al quinto posto in Europa. Rispetto all’anno scorso, quando si attestò al 43,4%, il peso delle imposte sul Pil è cresciuto dello 0,4%. Un incremento che, però, non deriva da un aumento delle tasse. Anche se, stando agli ultimi dati divulgati dal Ministero dell’economia, tra gennaio e settembre le entrate erariali sono cresciute di 37 miliardi di euro rispetto allo stesso periodo del 2021 (5,5 miliardi di Irpef, 8,9 miliardi di Ires e 17,8 miliardi di Iva). A segnalarlo è l’ufficio studi della Cgia di Mestre che sottolinea come il record storico registrato quest’anno sia il risultato dell’intreccio di almeno tre fattori straordinari.

I motivi

Innanzitutto, il forte aumento dell’inflazione che ha gonfiato le imposte indirette, prima tra tutte l’Iva. In secondo luogo, l’ottima performance dell’economia, con il corollario della crescita dell’occupazione, che ha spinto le imposte dirette (come l’Irpef) e i contributi. Infine, va ricordato che quest’anno sono state cancellate le proroghe e le sospensioni dei versamenti tributari introdotte nel biennio 2020-2021 per aiutare famiglie e aziende alle prese con la Pandemia. Ma c’è dell’altro. Si tratta di un effetto determinato dai principi contabili della finanza pubblica. Vediamo. A partire da marzo di quest’anno, le famiglie italiane ricevono l’assegno unico, un sussidio che ha sostituito la giungla delle detrazioni per i figli a carico. Questa novità ha delle implicazioni sul calcolo della pressione fiscale. Infatti, mentre le detrazioni riducevano l’ammontare dell’Irpef da versare all’erario, la loro abolizione ha incrementato il gettito di circa 8,2 miliardi di euro all’anno. Al tempo stesso, le risorse necessarie a pagare l’assegno unico sono contabilizzate tra le uscite nel bilancio statale. 

Le statistiche

Ma sono anni che le statistiche sulla pressione fiscale presentano una doppia faccia, dovuta a diversi provvedimenti di taglio delle tasse che, però, si configurano contabilmente come aumento delle spese. Dal 2014, con l’introduzione del bonus Renzi, infatti, il peso delle imposte sul Pil si può calcolare al netto degli sgravi fiscali o al lordo. Nel primo caso la pressione fiscale quest’anno si fermerebbe al 41,9%; nel secondo, ed è il dato ufficiale, al 43,8%. C’è inoltre da considerare un’altra cosa. Siccome nel calcolo del Pil rientra anche l’economia sommersa che, per sua natura, non produce gettito, una stima corretta della pressione fiscale dovrebbe tenere conto di questo aspetto. Infatti, la pressione fiscale è calcolata come rapporto tra gettito erariale e Pil: se diminuisce il secondo, il risultato aumenta. Così, depurando il Pil dalla parte di economia sommersa, emerge che la pressione fiscale arriva al 50%. In altre parole, i contribuenti onesti pagano molte più tasse di quanto non sembri a prima vista secondo le statistiche ufficiali. Statistiche alle quali, però, bisogna fare riferimento se si vuole fare un confronto internazionale. Anche perché le regole di contabilizzazione di sgravi e tasse sono uguali per tutti i Paesi dell’Unione europea.

I dati 

Gli ultimi dati Eurostat collocano l’Italia, che secondo l’istituto di statistica ha una pressione apri al 43,4%, al quinto posto, dietro Danimarca (49%), Francia (47), Belgio (45,4) e Austria (43,6). Sono meno tassati di noi i tedeschi (42,3%) e gli spagnoli (38,8%). Sorprendente il dato relativo all’Irlanda, il Paese Ue con la pressione fiscale più bassa: 21,7%. Tuttavia, per inquadrare bene la situazione in Italia, bisogna guardare anche al peso, in termini di tempo, degli adempimenti fiscali sui contribuenti. In una parola alla burocrazia fiscale. Ebbene, secondo le ultime statistiche elaborate dalla Banca Mondiale (Doing Business 2020), gli imprenditori italiani, come i colleghi portoghesi, perdono 30 giorni ogni anno per raccogliere le informazioni necessarie a calcolare le imposte, per completare le dichiarazioni dei redditi e per effettuare il pagamento di quanto dovuto. In Francia per espletare le incombenze burocratiche derivanti dal pagamento delle tasse sono necessari solo 17 giorni (139 ore), in Spagna 18 (143 ore) e in Germania 27 (218 ore), mentre la media dell’Area dell’Euro è di 18 giorni (147 ore).