Lavoratori precari, più contratti stabili per tutti. Il caso Spagna esalta la sinistra

Così il governo iberico ha diminuito il ricorso alle assunzioni a tempo determinato. Il presidente di Adapt: ma i contenuti più incisivi sono già patrimonio comune del diritto italiano

Manifestazione contro il precariato

Manifestazione contro il precariato

Piace molto a Elly Schlein. La cita spesso Giuseppe Conte. Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri ne parlano come di una sorta di punta avanzata del riformismo socialista in Europa. Ci riferiamo alla reforma laboral spagnola approvata lo scorso anno. Proprio quella riforma anti-precarietà che porta la firma della vice di Pedro Sánchez, la ministra del Lavoro, Yolanda Diaz, ospite d’onore super applaudita al congresso della Cgil di Rimini in questi giorni. Un punto di riferimento che, però, come osserva Emmanuele Massagli, presidente di Adapt, riguarda un pacchetto di norme che, in larghissima misura, in Italia sono presenti da anni, "se non da sempre". Senza considerare che nel Paese iberico la cosiddetta flessibilità in uscita (leggi licenziamenti) è decisamente più accentuata che in Italia anche rispetto ai contratti a tempo indeterminato.

Ma che cosa prevede, nello specifico, il cosiddetto "modello spagnolo" delle nuove regole del mercato del lavoro? Un modello che, detto per inciso, fu varato dal Parlamento di Madrid con 175 voti a favore e 174 contrari, con un voto, quello decisivo, "regalato" per sbaglio da un deputato del Partido Popular che votava telematicamente da casa. La riforma, come spiegano gli esperti di Adapt, introduce la presunzione secondo cui il contratto di lavoro debba essere, di regola, a tempo indeterminato, salvo due sole eccezioni: quella delle esigenze produttive e quella della sostituzione di altri lavoratori. Detti contratti non potranno, in ogni caso, durare più di sei mesi (o un anno in presenza di accordi collettivi settoriali). Dunque, con il nuovo sistema si determina la scomparsa della figura del contrato para obra o servicio determinado , cambiamento quanto mai rilevante se si considera che questa figura contrattuale oscilla tra il 38 e il 40% del totale dei contratti a tempo determinato.

Il principale obiettivo dell’intervento è stato quello di ridurre la crescente precarietà che ha caratterizzato il mercato del lavoro spagnolo negli ultimi anni. Basti pensare che, secondo i dati ufficiali dell’INE, in Spagna oltre il 25% dei lavoratori ha contratti a tempo determinato (con percentuali molto più alte nelle attività legate al turismo e nelle costruzioni), contro una media dei Paesi UE del 13,5%, e il tasso di disoccupazione è tra i più alti in Europa: il 14,57% e il 31,15% tra i giovani con meno di 25 anni. I risultati, a giudicare dai numeri del 2022, si sono avuti. "La riforma – ha spiegato la Diaz - ci permette di avere un record di iscrizioni alla previdenza sociale, più lavoro dipendente che mai, 14 milioni di lavoratori e lavoratrici a tempo indeterminato e ci ha permesso di ridurre di 7 punti il tasso di lavoro temporaneo, al 17,5%, vale a dire nei parametri europei".

"Fanno bene Elly Schlein e la Cgil – spiega Massagli – a tenerla monitorata; meno quando pensano di replicarla nel nostro ordinamento. Molte delle novità di quella riforma nel nostro Paese sono già norma da tempo (talune da sempre). Da noi è già vietato il pagamento diverso tra lavoratori assunti e somministrati; il contratto a termine (ancor più dopo il decreto dignità, che tuttavia ha avuto effetti deboli) ha il vincolo di causale; non è possibile sostituire i contratti collettivi con regolamenti unilaterali; il contratto di apprendistato è ancora più sicuro di quello spagnolo di ‘formazione e lavoro’. Insomma, i contenuti più incisivi della riforma spagnola sono già patrimonio comune del diritto del lavoro e delle relazioni industriali italiane. E, non a caso, da noi la percentuale dei contratti a termine è più bassa anche di quella spagnola attuale".

Ma, per valutare effettivamente la portata delle riforma va fatta anche una valutazione della cosiddetta "flessibilità in uscita" dei tempi indeterminati come disciplinata dall’ordinamento spagnolo che presenta sensibili differenze rispetto al nostro Paese: le imprese spagnole possono licenziare i lavoratori assunti a tempo indeterminato in casi molto più estesi che da noi e con costi molto meno gravosi.

 

 

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