Ponte sullo Stretto di Messina, la storia infinita. Da Carlo Magno a Salvini

La società "Stretto di Messina", i tentativi di Craxi e Berlusconi. Poi il rigore di Monti prima del rilancio di Renzi e del blitz di Conte

 Una foto del progetto del ponte sullo Stretto di Messina (Ansa)

Una foto del progetto del ponte sullo Stretto di Messina (Ansa)

"Nella manovra che portiamo lunedì in Cdm ci sarà anche il ponte sullo Stretto" di Messina. Parola di Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture che ieri ha rilanciato: "Sarà il ponte a campata unica più lungo al mondo". Che sia la volta buona? Ripercorriamo brevemente quella che possiamo tranquillamente definire una storia infinita. Fatta di annunci roboanti e di promesse puntualmente disattese. Un sogno lungo più di 150 anni. Anzi addirittura millenario se c’è chi fa risalire il Ponte sullo stretto a 250 anni prima della nascita di Cristo quando, racconta il geografo greco Strabone, i romani costruirono un ponte di barche per portare sul continente il ricco bottino di elefanti che avevano catturato nella campagna cartaginese.

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Ci pensò addirittura Carlo Magno quando arrivò in Calabria e si toccò con mano la vicinanza delle due coste. Ma in realtà solo dopo l’Unità d’Italia si comincio davvero a pensare che fosse possibile costruire qualcosa che potesse colpare i 3 chilometri e 300 metri che separano Messina dalla Calabria.

Tunnel o ponte

Si, perché un paio di anni fa tornò perfino in campo l’idea di una galleria sottomarina.  Il progetto era stato presentato al ministero delle Infrastrutture nel 2020. Ma è rimasto sottotraccia fino a quando il premier Giuseppe Conte, in piena era del governo giallo-rosa, ha di fatto riportato sul tavolo la questione del collegamento sullo Stretto.

Ma in realtà il dilemma è sul tavolo dal lontano 1870, quando l’Università di Torino lanciò per la prima volta l’idea del tunnel.  Poi, negli anni 70, con il primo concorso di idee, prevalse l’altra ipotesi, quella del Ponte sospeso. Un’idea abbracciata anche da Mussolini e ripresa poi dall’Iri. Che arrivò perfino a duellare con l’altro grande gruppo delle vecchie Partecipazioni statali, l’Eni, favorevole invece al tunnel. A sciogliere i dubbio ci pensò il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, durante la sua prima esperienza di governo, a metà degli anni 90: la navata unica sullo stretto, la più lunga del mondo con i sui 3300 metri, era in bella mostra nella famosa cartina delle grandi opere strategiche illustrata nel salotto televisivo di Vespa.

Un grande e costoso bluff: non è mai stato sistemato un mattone ma, nel frattempo, lo Stato ha tirato fuori qualcosa come 300 milioni di euro fra penali e progetti, svaniti nel nulla. Scelte politiche: forse perché il ponte si vede e il tunnel no. Chissà. Ma la storia del Ponte è davvero infinita. Ripercorriamo le principali tappe. Da Mussolini alla legge del 1971 Anche Benito Mussolini non fu immune dal sogno di un Ponte. Ne parlò un paio di volte, ipotizzando di costruirne uno dopo la guerra. Andò come sappiamo.

L’idea tornò in auge negli anni del boom economico, ma la vera svolta ci fu nel 1971. A Palazzo Chigi c’era l’ennesimo governo di marca Dc, guidato dall’inossidabile Emilio Colombo, e il Parlamento rispolvera il progetto approvando una legge per realizzare "l'attraversamento stabile" dello stretto. È solo il primo passo. Il provvedimento delega poi il tutto ad una nuova società che avrebbe dovuto creare il Ponte. Ma il governo Colombo cade e, con esso, anche il sogno di unire la Sicilia alla terraferma.

La società Stretto di Messina

Passano due lustri e solo nel 1981 qualcuno si ricorda della legge per il Ponte e rimette in pista il progetto. Tutta opera di Gianfranco Gilardini che riesce a creare, dal nulla, una nuova società incaricata di portare avanti il progetto. Si chiama, con poca fantasia, Stretto di Messina e il 51 per cento è dell'Italstat, holding di costruzioni dell'Iri e punta sul Ponte. Ma l'Eni, che intanto sta studiando il tunnel, non demorde. E siccome l'Iri è democristiano e l'Eni finisce invece nell'orbita socialista, la guerra fra ponte e tunnel diventa una lotta immaginaria fra Dc e Psi. In compenso, non si mosse una pietra. La società Stretto di Messina SPA continuò a vivacchiare e ad aggiornare i suoi progetti sul Ponte senza che però nessuno ne sapesse praticamente nulla.

Da Craxi a Berlusconi

Nei programmi elettorali c’è sempre spazio per il Ponte sullo Stretto, progetto di bandiera che appassiona anche il Psi di Bettino Craxi nel 1992. L’idea convince perfino Romano Prodi, all’epoca presidente dell’Iri. Ma il ciclone di Tangentopoli travolge leader e partiti della prima Repubblica. Figuriamoci il Ponte. Invece, a sorpresa, l’idea viene cavalcata da sua emittenza Silvio Berlusconi, che nel salotto televisivo di Vespa comincia a disegnare la mappa aggiornata dell’Italia con tanto di plastici e cantieri. Nel Sud spicca proprio la sagoma del nuovo Ponte. Il cavaliere si spinge fino ad affidare i lavori al consorzio Eurolink capeggiato da Salini-Impregilo. Ma è solo una fiammata. Passano pochi anni, Berlusconi cade e quando arriva Prodi a Palazzo Chigi scatta di nuovo il disco rosso.

Il rigore di Monti

La grande crisi dei mutui sub-prime e dei debiti sovrani costringe Berlusconi, nel frattempo tornato a Palazzo Chigi, a cedere le armi. Al suo posto si siede il "sobrio" Mario Monti, mister rigore, e fra i tagli del suo governo c’è anche la messa in liquidazione della società Stretto di Messina. Toccherà a Letta, nella sua breve stagione da premier, a nominarne il liquidatore, l’ex capo di gabinetto del ministro Tremonti, Vincenzo Fortunato, che si vede recapitare una richiesta di risarcimento danni da parte della società dismessa da 700 milioni di euro. Una battaglia a colpi di carte bollate che si trascinerà per oltre nove anni. E non ha ancora visto la parola fine.

Il rilancio di Renzi e il blitz di Conte

Non è finita qui. Nonostante il contenzioso giudiziario, perfino l’ex rottamatore, Matteo Renzi, diventato premier, fa un pensiero sul Ponte, sollevando l’ira funesta dei Cinquestelle. Ma la storia si ripete. Quando arriva Conte a Palazzo Chigi, il veto del Movimento di Grillo viene subito dimenticato e l’idea del collegamento torna in auge. Sia pure nella variante del tunnel sotto lo stretto. Ma anche questa volta tutto resta congelato. Complice anche la pandemia del Covid. L’Avvocato del Popolo dovrà lasciare lo scettro a superMario Draghi che non si tira indietro. E con il suo ministro alle Infrastrutture, Enrico Giovannini, trasmette al Parlamento una relazione che riaccende le speranze sul grande progetto. Nel documento compaiono le tre soluzioni: il ponte a unica campata, quello a più campate e il tunnel. Anche se il ministro preferirebbe la seconda. Ma la verità è che, come un eterno gioco dell’Oca, tutto torna alla casella di partenza.

Tocca a Salvini

Tocca a questo punto al nuovo ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, rimettere in moto il progetto. Un primo passo è stato già fatto dal momento che, nella prossima legge di Bilancio, il governo di destra-centro ha deciso di sospendere la messa in liquidazione della società Stretto di Messina. Punto e capo. Ora, del resto, con il Pnrr, non ci sarebbe neanche un problema di risorse. Ma sarà davvero la volta buona? Chissà…