Giovedì 25 Aprile 2024

Pnrr e istruzione: 400 milioni per la costruzione di mense scolastiche

Secondo l'Ocp, in Italia gli studenti che abbandonano gli studi sono il 13,1% contro una media Ue del 9,9%. Per ridurre il divario è necessario puntare sul tempo pieno

Scuola (foto di repertorio)

Scuola (foto di repertorio)

Che sia vero che un quindicenne su due non è in grado di comprendere un testo scritto è difficile da dire. Ma le parole del presidente di Save the children Italia, Claudio Tesauro, hanno avuto il merito di portare al centro del dibattito un tema fondamentale e troppo spesso ignorato: la scuola. Un aspetto su quale il nostro Paese non brilla di certo nei confronti internazionali. Come si legge in una nota dell’Osservatorio sui conti pubblici, “l’Italia presenta numerose carenze nel comparto dell’Istruzione e Ricerca”. Il tasso di abbandono scolastico nella scuola dell’obbligo è pari al 13,1% contro una media europea del 9,9%.

Una situazione aggravata dalle misure attuate per contrastare la pandemia. Secondo un recente rapporto di Save the Children, negli ultimi due anni è aumentato anche il tasso di dispersione implicita, ovvero la percentuale di alunni che pur finendo gli studi, non raggiungono i livelli minimi di competenze stabiliti dal ministero. Ed è proprio su questo fronte che il Pnrr potrebbe dare un grosso contributo. Il piano nazionale di ripresa, infatti, stanzia 31 miliardi di euro per gli investimenti in istruzione e ricerca, il 16% del totale delle risorse. Questo mentre i due terzi dei fondi previsti per la scuola sono destinati al “potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione”.

La voce di spesa maggiore riguarda gli asili nido (4,6 miliardi). Sui 960 milioni di euro che serviranno a estendere il tempo pieno nelle scuole primarie, 400 milioni verranno utilizzati per costruire nuove mense scolastiche. Misure che serviranno a intervenire sul problema dell’abbandono scolastico. Sebbene il numero di giovani che lasciano la scuola anzitempo sia calato negli ultimi 10 anni, passando dal 18,6% del 2010 al 13,1% del 2020, il nostro Paese continua a fare peggio rispetto alla media Ue (9,9%). L’obiettivo di Bruxelles è quello di portare la quota di giovani che abbandonano gli studi al di sotto del 9% entro il 2030. Per riuscirci occorrono politiche adeguate, tra le quali rientrano appunto i programmi sul tempo pieno e la costruzione di nuove mense finanziati coi fondi europei.

Per quanto riguarda le mense, il ministero dell’Istruzione ha stabilito in anticipo la divisione territoriale dei fondi: 240 milioni (pari al 60%) verrano ripartiti sulla base del numero di studenti che frequentano le elementari in ciascuna regione, mentre il resto, 160 milioni, andrà a sei regioni - Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sicilia - caratterizzate da elevati tassi di abbandono scolastico. Del resto, è la necessità di colmare i divari territoriali a giustificare la scelta di destinare al Sud il 57,7% dei fondi. Calabria, Campania, Puglia e Sicilia sono infatti le 4 regioni con il maggior tasso di dispersione scolastica, con percentuali che oscillano tra il 15 e il 19%.

Insomma, l’obiettivo è ridurre il numero di studenti che abbandonano gli studi. Per conseguirlo è necessario aumentare l’offerta di scuole elementari a tempo pieno. Secondo i ricercatori dell’Ocp, il tempo pieno non è solo “uno strumento fondamentale per combattere la dispersione scolastica” ma anche un elemento che può portare a vantaggi di medio e lungo periodo per tutta la collettività. Tra i benefici immediati c’è quello di migliorare i risultati scolastici e di contribuire ad accrescere “l’offerta di lavoro dei genitori” e, di conseguenza, “il reddito familiare”.

Nel medio periodo, invece, l’aumento dell’orario scolastico alle elementari riduce le “probabilità di incappare in comportamenti rischiosi”: “una maggiore presenza a scuola è correlata con la riduzione delle maternità tra giovani studentesse e la partecipazione in attività criminali”. Infine, per quanto riguarda il lungo periodo, secondo uno studio riportato nella nota dell’Ocp, il tempo pieno sarebbe associato a più alte probabilità di avere un lavoro qualificato. Di conseguenza ci sarebbero dei benefici anche in termini economici.

“Ogni anno di accesso al tempo pieno (rispetto al tempo normale) è associato a un aumento di reddito di circa 5 punti percentuali”. Come detto, per allungare l’orario scolastico è necessario dotare le scuole di mense. Ma com’è la situazione italiana sotto questo aspetto? A livello nazionale soltanto il 39% delle scuole dispone di una mensa. A causa del fatto che gli istituti che offrono questo servizio sono generalmente di grandi dimensioni e situati in città molto popolose, la percentuale di studenti che può mangiare a scuola è più alta (57%).

La situazione, però, è molto eterogenea sul territorio. Se in Toscana le scuole che offrono il servizio sono il 79% del totale, in Campania sono soltanto il 15%. Nel Sud e nelle isole (21,6%), nessuna regione è sopra la media nazionale. Nel Centro (49,2%), invece, soltanto il Lazio (30%) fa peggio del resto d’Italia, mentre nel Nord (50,1%), sotto la soglia c’è il Friuli-Venezia Giulia (38%). La Lombardia, con il 39% di istituti dotati di mensa, è perfettamente in linea con la media nazionale.

È interessante notare, poi, come la possibilità di mangiare a scuola sia correlata a migliori servizi in altri ambiti. “Le scuole con mensa” scrivono i ricercatori dell’Ocp, “hanno percentuali più elevate di offerta di servizi aggiuntivi (come aule informatiche e palestre) e migliori caratteristiche relative alla fruibilità e alla sicurezza degli istituti”. Insomma, questi numeri suggeriscono l’opportunità di interventi per ridurre le disuguaglianze tra regioni. Disuguaglianze che, secondo l’Ocp, potrebbero derivare dal diverso tasso di occupazione femminile”.

Nei centri urbani o nel Nord, dove il numero di donne che lavorano è più alto, infatti, c’è anche una maggiore domanda di tempo pieno e, quindi, l’offerta di servizi di mensa è più elevata. Al tempo stesso, aumentare la percentuale di scuole che offrono il servizio “potrebbe incentivare la popolazione femminile a lavorare”.