Mercoledì 24 Aprile 2024

Qual è il vero punto debole delle piccole e medie imprese italiane

I risultati del report Istat "Imprese e Ict". La quota di aziende che ha competenze specifiche al suo interno si attesta al 13,4%, contro il 21% della media Ue-27

Uno specialista informatico, foto generica (Archivio)

Uno specialista informatico, foto generica (Archivio)

Sono i pochi specialisti informatici e delle telecomunicazioni il vero punto debole delle piccole e medie imprese italiane. A sottolinearlo è il report 2022 dell’Istat su “Imprese e Ict”. La quota di aziende con un numero di addetti compreso tra 10 e 249 che ha competenze specifiche al suo interno si attesta al 13,4%, contro il 21% della media Ue-27.

Insomma, rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea siamo indietro, e il ritardo è stato solo parzialmente recuperato rispetto al 2020: in quell’anno la percentuale era infatti pari al 12,6%. Il divario, insomma, c’è ancora.

Ma questo dato è solo uno, certo il più eclatante, tra i 12 elementi presi in esame dall'Istat per la definizione dell'indicatore composito di digitalizzazione Digital Intensity Index, utilizzato per identificare le aree nelle quali le imprese italiane ed europee incontrano maggiori difficoltà. Oltre che sul tema degli specialisti, ritardi più evidenti, per le nostre aziende, si riscontrano nella decisione di investire in formazione Ict (Information and Communications Technology, tecnologie dell'informazione e della comunicazione), nell’uso di riunioni online e di documentazione specializzata sulle regole e le misure da seguire sulla sicurezza informatica.

A balzare all’occhio sono le differenze molto marcate tra le imprese al di sotto e quelle al di sopra della soglia dei 250 addetti. In altre parole, tra medie e grandi imprese. Nell’utilizzo di robot, ad esempio, siamo all’8,7% contro il 29,8%.

Nella vendita online di almeno l’1% del fatturato totale, il 13,4% rispetto al 36,6%. In compenso, cresce la quota di Pmi nelle quali più della metà degli addetti ha accesso a internet per scopi lavorativi (dal 40% del 2019 al 49% del 2022). L’intensità di base della digitalizzazione, osserva l’Istat, è costituita da almeno 4 attività delle 12 esaminate. Nel 2022 il 69,9% di imprese con 10-249 addetti si colloca a questo livello (leggermente meglio della media della Ue-27 che è del 69,1%) ma solo il 26,8% è a un gradino elevato dell’indicatore. Al contrario, per il 97,1% delle imprese con almeno 250 addetti si registra un livello base e l’82,1% ha raggiunto quello alto.

Un approfondimento specifico del rapporto Istat è poi riservato al commercio online. I dati 2022 per l’e-commerce delle Pmi ancora non rilevano miglioramenti significativi nella quota di imprese coinvolte ma solo nei valori scambiati: il 13% delle piccole e medie imprese ha effettuato vendite online per almeno l’1% del fatturato totale (12,7% nel 2021) e il 17,7% delle Pmi attivo nell’e-commerce ha realizzato online il 13,5% dei ricavi totali (rispettivamente 17,9% e 9,4% nel 2021).

In generale, il 18,3% delle imprese con almeno 10 addetti ha effettuato vendite online fatturando il 17,8% del fatturato totale, rispettivamente 22,8% e 17,6% a livello Ue-27. In termini di composizione, il valore delle vendite online si realizza soprattutto nel comparto del commercio (35,6%), per il 28% nel settore manifatturiero (con prevalenza delle attività legate all’automotive) e per una analoga quota nel settore energetico. In termini dimensionali, il 60% del valore online proviene da vendite delle imprese di maggiori dimensioni e il 40% dalle Pmi.

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