Sopra i 34mila punti, il livello più alto dal 2008. È il record toccato ieri pomeriggio dall’indice Ftse Mib di Piazza Affari, che raggruppa le più importanti azioni quotate alla Borsa di Milano. Verso il finale di seduta, il listino milanese ha fatto una piccola retromarcia per chiudere poi attorno a 33.900 punti. A parte questi dettagli, una cosa è certa: chi ha puntato nei mesi e negli anni scorsi sul listino italiano oggi raccoglie indubbiamente ottimi frutti: il guadagno in due anni è del 40% circa, nell’ultimo anno sfiora il 33% mentre la performance del Ftse Mib nell’ultimo semestre supera il 17%. "E questo mettendo a segno otto settimane positive di seguito, l’ultima terminata con un +1,61%", commenta Marco Vailati, responsabile Ricerca e Investimenti di Cassa Lombarda. "La forza del movimento è ben espressa da un dato: dal primo febbraio a venerdì scorso l’indice ha ritoccato il record degli ultimi 15 anni per ben venti volte".
Non manca però l’altra faccia della medaglia. Come sempre, sono i dettagli a fare la differenza e, nel lungo periodo, le quotazioni della Borsa di Milano sono ancora distanti dai massimi storici, toccati nel lontanissimo 7 marzo 2000, poco prima della bolla speculativa del Nasdaq, il listino tecnologico statunitense. Allora l’indice italiano non si chiamava ancora Ftse Mib ma, ricostruendo a ritroso la sua composizione, si vede che la quotazione del marzo 2000 era a 51.273 punti, ben superiore ai 34mila punti di questi giorni. Un altro picco fu toccato dal listino milanese nel 2007, quando il crack della banca d’affari Lehman Brothers non aveva ancora provocato la più grande crisi economica e finanziaria del dopoguerra.
Nell’estate di quell’anno, prima che le Borse di tutto il mondo crollassero, il Ftse Mib veleggiava attorno ai 44mila punti, cioè ben 10mila punti sopra i livelli odierni. Se è vero dunque che il listino milanese ha fatto guadagnare molto agli investitori nell’ultimo biennio, la stessa cosa non si può dire nel lungo e lunghissimo periodo. Inoltre, c’è un altro aspetto da non trascurare. Come ha messo in evidenza Moningstar, società di analisi sul settore finanziario e del risparmio gestito, il numero di società quotate alla Borsa di Milano è sceso costantemente negli ultimi anni, riducendo la capitalizzazione del mercato, poiché molte aziende hanno scelto di abbandonare Piazza Affari. E così è aumentato il peso delle cosiddette blue chip, cioè le azioni delle aziende a maggiore capitalizzazione. Basti pensare che l’anno scorso, sempre secondo Morningstar, tre quarti delle performance dell’intero indice sono state generate da soli 5 titoli: i due big bancari Unicredit e Intesa Sanpaolo, oltre a Stellantis, Ferrari ed Enel.
Il listino milanese è dunque diventato più concentrato e dipendente dall’andamento dei titoli di poche grandi società, nonostante si siano quotate negli ultimi anni molte piccole e medie imprese.