Pesca, le reti sono piene di speranza Dimenticare la burrasca del virus

È uno dei settori che ha subito di più gli effetti del lockdown

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MILANO

È uno dei settori che più ha subito gli effetti di lockdown e crisi. La pesca prova a riemergere, dopo i mesi bui dell’emergenza sanitaria. Quanti danni abbia generato il Covid-19 lo dice Fedagri-Confcooperative in un’elaborazione dei dati Nisea: 60 milioni di euro nel solo mese di marzo, con un crollo del -70% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ha pesato tanto la chiusura dei ristoranti, nella stessa misura il ritorno a pieno ritmo dell’Horeca può sostenere la ripresa della pesca.

Anche perché, prima della bufera Coronavirus, i consumi di pesce erano in continua crescita e un anno fa facevano registrare un +2,6% rispetto al 2018. La valorizzazione del made in Italy è alla base della ripartenza di un settore che ha lanciato diversi sos alle istituzioni, a partire dall’Unione europea.

L’Italia è tra i primi dieci Paesi europei del settore. La flotta peschereccia è costituita da 12mila unità, la maggior parte (72%) con una dimensione fino a 11 metri. In questa fascia si concentra oltre il 40% degli occupati a tempo pieno (20mila complessivamente), mentre nella fascia superiore (12-23 metri) è impegnato il 47% della forza lavoro. La maggior parte degli sbarchi – ovvero il primo ‘scaricamento’ a terra di prodotti ittici effettuato da un peschereccio – comprende prodotti freschi (circa il 95%), mentre una quota minima riguarda i prodotti congelati. Il valore economico degli sbarchi di prodotti ittici in Italia supera i 900 milioni di euro. Saldo negativo tra import ed export: l’Italia è tra i primi dieci Paesi importatori al mondo (valore, 6 miliardi di euro) mentre le esportazioni valgono meno di 900 milioni.

Vale 500 milioni, invece, l’acquacoltura italiana. Il 45% della produzione viene da acque marine, il 28% da acque salmastre e il 27% è di acqua dolce e tra le principali specie commerciali allevate ci sono le vongole, prime in valore (224 milioni, 41%). Seguono la trota, la spigola, la cozza (prima invece in volume) e l’orata. Anche il comparto ha subito il forte contraccolpo della crisi legata al Covid-19 tanto che Api, l’associazione dei piscicoltori di Confagricoltura, ha stimato le perdite in oltre 15 milioni di euro nei due mesi più difficili – marzo e aprile – per gli allevatori ittici. Messi in ginocchio dall’emergenza sanitaria e ora concentrati sulla (lenta) ripresa in cui è determinante il contributo dell’Horeca. Consumi in aumento prima che arrivasse il Covid, si diceva. Una ricerca realizzata per Fedagripesca dal Censis, con il contributo del Mipaaf, dice che sei persone su dieci (il 58,9% del totale) hanno modificato la dieta alimentare in favore dei prodotti ittici. Il 48% preferisce pesci, molluschi e crostacei italiani (la media europea è del 37%). Nel 65,8% dei casi si preferisce un prodotto fresco da preparare personalmente, più contenuta è la quota di chi si affida a un prodotto surgelato (34,4%) e quella di chi acquista un prodotto fresco pronto per essere cucinato (22,1%). L’area del consumo di pesce in scatola ‘pesa’ il 7,1% mentre, anche se non in maniera prevalente, emerge la preferenza verso il prodotto crudo (17,8%).

Marco Principini

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