Pensioni: ecco la spesa per vecchiaia e invalidità. Tutti i numeri dell'Inps

Al 31 dicembre spesi 313 miliardi di euro per 23 milioni di prestazioni. In aumento i pensionati che continuano a lavorare

Manifestazione di pensionati

Manifestazione di pensionati

Al 31 dicembre 2021 sono stati spesi 313 miliardi di euro per 23 milioni di prestazioni a favore di oltre 16 milioni di pensionati. E’ pari al 72,6% la quota di spesa pensionistica erogata per pensioni di vecchiaia e anzianità: +2,4% rispetto al 2020. E' di 19.443 il reddito medio lordo annuo dei pensionati. E’ del 14,6% il rischio di povertà delle famiglie con pensionati nel 2020 (15,7% nel 2019): oltre 10 punti percentuali inferiore a quello delle famiglie senza pensionati. Il 37,2% dei pensionati vive in coppia senza figli, più di un quarto da solo (27,7%). Per le famiglie con pensionati, i trasferimenti pensionistici rappresentano, in media, il 64% del reddito familiare netto disponibile. L’età media dei pensionati da lavoro che dichiarano di essere occupati – uomini nel 78,4% dei casi – supera i 69 anni. 

Sono questi i numeri recentissimi dell’Istat che fotografano la realtà dei pensionati italiani nel biennio 2020-2021. Numeri che indicano anche un fenomeno in crescita significativa: quello di pensionati che lavorano. 

 

Spesa per vecchiaia, invalidità e superstiti

Sono 22,7 milioni le prestazioni del sistema pensionistico italiano vigenti al 31 dicembre 2021, erogate a 16 milioni di titolari, per una spesa di 313 miliardi di euro. Il 90,5% della spesa complessiva (283 miliardi) è destinata alle prestazioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (IVS). In particolare, il 72,6% del totale (227 miliardi) è rivolto al pagamento delle pensioni di vecchiaia e anzianità, il 13,9% alle pensioni ai superstiti (43 miliardi), il 4% a quelle di invalidità (13 miliardi).

Il sistema dei trasferimenti pensionistici impegna ulteriori 25 miliardi (8,2% della spesa complessiva) per la copertura di 4,4 milioni di prestazioni assistenziali (invalidità civile, accompagnamento, assegni sociali e pensioni di guerra) finanziate dalla fiscalità generale.

L’andamento dei principali indicatori – spiegano i ricercatori – risente degli effetti della pandemia nel biennio 2020-2021, che ha avuto un impatto rilevante non solo sulle componenti della dinamica demografica, prima tra tutte la mortalità, ma anche sul mercato del lavoro e sul Prodotto interno lordo. Nel 2021 la spesa pensionistica è aumentata di 1,7 punti percentuali rispetto all’anno precedente (nel 2020 la variazione annua è stata di +2,3 punti percentuali) e rappresenta il 17,6% del Pil (era il 18,5% nel 2020 e il 16,7% nel 2019). Dal 2000 al 2018 il rapporto tra spesa pensionistica e Pil non ha mai superato il 17%, l’aumento registrato negli ultimi due anni è il risultato della contrazione del Pil come riflesso della pandemia. 

Anche il rapporto tra numero di pensionati e occupati risente dell’effetto della crisi sanitaria: è di 714 beneficiari ogni 1.000 lavoratori (717 nel 2020, 694 nel 2019). Se si considerano solo i titolari di prestazioni previdenziali, il rapporto tra pensionati che hanno versato i contributi e i lavoratori che li versano scende a 624 ogni 1.000 lavoratori (628 nel 2020, 608 nel 2019). I valori di entrambi gli indicatori risultano in aumento nel 2020 per poi tornare a calare nel 2021, seguendo quindi il trend in diminuzione registrato a partire dal 2013.

In media nazionale si calcolano 267 pensionati ogni 1.000 abitanti; tale valore è più alto per le donne come conseguenza della maggiore speranza di vita. 

Complessivamente, il 59,1% delle singole prestazioni pensionistiche è di importo inferiore ai 1.000 euro lordi mensili. Considerando che il 32,1% dei pensionati riceve più di una prestazione, il reddito pensionistico complessivo - dato dalla somma degli importi delle singole prestazioni – è comunque inferiore a tale soglia per un terzo dei pensionati (32,8%).  

 

Titolari in maggioranza donne

Nel 2021, il valore mediano dell’importo annuo delle singole prestazioni pensionistiche è di 8.897 euro, vale a dire che la metà delle pensioni prese singolarmente non supera questo importo. Rilevanti differenze si rilevano con riferimento al genere, al territorio e alla tipologia di prestazione.

Le donne sono la maggioranza sia tra i titolari di pensioni (55%) sia tra i beneficiari (52%), ma gli uomini percepiscono il 56% dei redditi pensionistici. In media, l’importo di una pensione di una donna è più basso rispetto a quello riservato agli uomini per lo stesso tipo di pensione (11mila contro 17mila) e i redditi mediani percepiti dalle donne sono inferiori del 28% rispetto a quelli degli uomini (14.529 contro 20.106 euro). 

La disuguaglianza di genere è influenzata principalmente dalla minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e spesso da carriere discontinue e quindi da storie contributive più brevi e frammentate, caratterizzate anche da un differenziale retributivo generalmente svantaggioso.

In aumento i pensionati che continuano a lavorare

In media, per l’anno 2021, secondo la rilevazione sulle forze di lavoro, i pensionati da lavoro che percepiscono anche un reddito da lavoro sono 444mila, in deciso aumento rispetto al 2020 (+13,3%).

Si ricorda che, per effetto della crisi pandemica, il 2020 aveva fatto segnare rispetto al 2019 una contrazione del 6,5% nel cumulo di pensione e lavoro. Il gruppo è composto principalmente da uomini (in oltre tre casi su quattro), da residenti nelle regioni settentrionali (in due casi su tre) e da lavoratori non dipendenti (l’86,3% dei casi). 

Oltre la metà dei pensionati occupati possiede al massimo la licenza media (circa il 30% per il complesso degli occupati), tre su dieci possiedono un diploma mentre il segmento dei laureati rappresenta oltre un quinto del totale. 

L’età media dei pensionati che lavorano è progressivamente cresciuta: nel 2021 il 78,6% ha almeno 65 anni (77,4% nel 2019) e il 45,4% ne ha almeno 70 (41,8% nel 2019); proprio al segmento più anziano si deve buona parte dell’incremento osservato nel 2021 rispetto all’anno precedente (+15,7%). L’età media dei pensionati con redditi da lavoro supera quindi i 69 anni nel 2021; tra gli uomini la media è di circa mezzo anno più elevata rispetto alle donne e tra i lavoratori indipendenti supera di tre anni quella dei dipendenti.

Nel 2021 lavora nel settore dei servizi il 61,8% dei percettori di pensione (da lavoro) che continuano a essere occupati (64,8% nel 2019); al suo interno circa il 30% è impiegato nel commercio. In crescita rispetto al 2019 i pensionati occupati in agricoltura (+2,2 punti, il 16,2%).

Il 41,4% dei pensionati che lavorano svolge una professione qualificata (compresa nei primi tre grandi gruppi della classificazione delle professioni CP2011), una quota in riduzione in confronto sia al 2019 sia al 2020, ma comunque più alta rispetto al totale degli occupati (34,5%), lo stesso si verifica per gli operai (34,3% contro 23,2%). È invece più bassa la percentuale di pensionati che lavorano in professioni non qualificate (3,9% contro 11,8%).