Pensioni svalutate, stangata sul ceto medio. Quanto si perde: gli esempi

In dieci anni gli assegni da 2.100 euro lordi hanno perso il 10%. E dal 2023 si somma l’effetto del mancato adeguamento

Roma, 27 dicembre 2022 - Una pensione di 2.500 euro lordi, 1.800 netti, avrà una minore rivalutazione nel 2023 di circa 437 euro l’anno, ma in dieci anni il danno della stretta prevista dalla legge di Bilancio ammonterà a oltre 13mila euro. E molto peggio andrà per gli assegni più elevati: un trattamento di 5.000 euro lordi, pari, a 3.580 netti sconterà un minore aumento di circa 2.600 euro l’anno prossimo, e di oltre 69mila euro in un decennio. A 7.500 euro lordi, 4.800 netti, siamo a meno 3.400 l’anno nel 2023 e a meno 91mila al 2033.

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Sono solo alcuni esempi degli effetti a breve e a medio termine dell’intervento di sterilizzazione dell’adeguamento delle prestazioni previdenziali contenuto nella manovra in via di approvazione. Effetti che si sommano ai tagli precedenti: negli ultimi 10 anni le pensioni da circa 2.100 euro lordi al mese hanno perso oltre il 10% di potere d’acquisto o, se volete, sono state svalutate del 10%. A mettere in fila i calcoli e i numeri sono i due esperti del settore, Alberto Brambilla e Antonietta Mundo, in uno studio specifico (La svalutazione delle pensioni oltre 4 volte il minimo) realizzato dal centro studi Itinerari previdenziali in collaborazione con la Cida (la Confederazione dei dirigenti di azienda).

La sintesi "politica" che viene fuori dalle cifre è che siamo di fronte a un’ennesima stangata per le pensioni del ceto medio, a cominciare da quelle da 2.100 euro lordi mensili, ma principalmente per quelle da 2.500 euro lordi in su: dunque, a essere colpiti, sono i dirigenti privati e pubblici, ma anche quadri, impiegati, operai specializzati o comunque sia con lunghe carriere lavorative alle spalle cominciate durante la minore età. Tutto lavoro dipendente di fasce di reddito medie e medio-alte. Tant’è che i due autori dello studio avvisano: "Insomma, nei prossimi 10 anni questi pensionati meritevoli oltre a sobbarcarsi il grosso dei 56 miliardi di Irpef, che gravano sulle pensioni si vedranno ingiustamente defraudati di altri 45 miliardi circa".

Da qui il j’accuse di Stefano Cuzzilla, numero uno della Cida: "La legge di Bilancio colpisce ancora una volta in modo pesante il ceto medio. Questa è decisione iniqua che danneggia ulteriormente chi oggi ha una pensione frutto di anni di lavoro e contribuzione". Ma, del resto, anche la presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Lilia Cavallari, non ha mancato di sottolineare che "rispetto alle persone in età attiva, il mantenimento del potere di acquisto per i pensionati è affidato quasi esclusivamente all’indicizzazione. Per le quote delle pensioni calcolate con le regole contributive (destinate a crescere), il rallentamento o il congelamento anche temporaneo della rivalutazione è da considerarsi alla stregua di un’imposta".

Il punto è che il governo Meloni è solo l’ultimo ad aver utilizzato la mancata rivalutazione degli assegni per fare cassa. E se negli anni precedenti l’operazione ha pesato di meno è stato per il livello basso dell’inflazione. Nella sostanza, più o meno tutti gli esecutivi, hanno operato su questa leva. "Per i pensionati – osservano Brambilla e Mundo – l’anno "nero" fu quello del governo Monti che nel 2012/13 di fatto azzerò la rivalutazione delle pensioni oltre 4 volte il minimo penalizzando anche quelle da 3 a 4 volte. Dal 1995 non accadeva una così grave penalizzazione per i pensionati, salvo il periodo 1999/2001, quando il governo Amato rivalutò solo del 30% gli assegni da 5 a 8 volte il minimo e azzerò quelli più elevati. Dal governo Monti in poi i pensionati con assegni pensionistici sopra 4 volte il minimo sono stati letteralmente "defraudati" dai governi Letta, Renzi, Gentiloni e soprattutto da quelli Conte 1 e 2". Il risultato è presto detto: una pensione di 3.400 euro lordi mensili nel 2005 (circa 2.250 euro netti) ha perso, tra 2006 e 2023, 48.700 euro come mancati aumenti, più una perdita a vita stimata in altri 5.870 euro annui. Mario Draghi, però, ha ripristinato il sistema più favorevole per tutte le fasce. Ma è durata poco.