Pensioni: la vera rivoluzione nel 2024. A casa in anticipo (con penalità)

La riforma si chiamerà Meloni-Calderone e arriverà in sei mesi. Uscite a 63-64 con penalizzazioni progressive

La prossima riforma previdenziale sarà, con tutta probabilità, chiamata "Meloni-Calderone" e arriverà entro la metà del 2023. Come hanno annunciato la premier e la ministra del Lavoro il riassetto a regime sarà il risultato di un confronto prolungato con le parti sociali i sindacati. Un po’ come accadde nel lontano 1995 con la riforma firmata da Lamberto Dini e Tiziano Treu. Un confronto che dovrà portare a un’intesa su tre nodi-chiave: la cosiddetta flessibilità in uscita strutturale, per superare la legge Fornero, il mantenimento di alcune specifiche vie di fuga per determinate categorie o situazioni e l’introduzione della pensione di garanzia giovani.

Flessibilità in uscita strutturale

È stato l’obiettivo primario perseguito da tutti i governi dell’ultimo decennio senza che si sia mai riusciti a raggiungerlo. Ma, almeno nelle intenzioni, il round negoziale del prossimo anno dovrebbe essere quello decisivo. Le ipotesi in gioco sono molteplici. La prima è quella dello stesso sindacato che propone di fissare la possibilità di lasciare il lavoro a 62 anni, con 35 anni di contributi. È, però, una soluzione di fatto impossibile da realizzate per le condizioni della finanza pubblica dell’aumento della spesa pensionistica che innescherebbe. Più verosimili altre soluzioni. A cominciare dalla possibilità di fissare una soglia di uscita a 63-64 anni con penalizzazioni progressive sull’importo della pensione rispetto agli anni mancanti ai 67: 1-2 per cento in meno per ogni anno. Allo stesso risultato si arriva con la ricetta di Pasquale Tridico, il Presidente dell’Inps, che ipotizza l’attribuzione di una quota di pensione a 63 anni, quella calcolata con il contributivo, mentre quella calcolata con il retributivo arriverebbe a 67 anni.

Conferma Ape social e opzione donna

Il secondo intervento possibile, nell’ambito di una riforma organica, è quello relativo alla stabilizzazione di misure che esistono anche oggi ma che sono soggette alla proroga annuale. Si tratta dell’Ape sociale, del canale precoci, dell’Opzione donna. Si tratta, dunque, di vie di uscita che riguardano categorie che si trovano in condizioni specifiche: disoccupati, invalidi, familiari che assistono disabili, lavoratori che svolgono attività gravose. Oppure donne lavoratrici, per le quali dovrebbe rimanere intatta l’Opzione donna, salvo un incremento dei requisiti a 60 anni (lavoratrici dipendneti) o 61 (autonome).

Garanzia giovani 

Il terzo più rilevante capitolo della prossima riforma dovrebbe finalmente essere quello relativo alla cosiddetta pensione di garanzia per i giovani. Si parla da anni di questo strumento di protezione per chi ha carriere discontinue o salari bassi. E non a caso recentemente Meloni ha parlato di rischio di pensioni "inesistenti". La possibile soluzione è quella che passa dalla previsione di un’integrazione da parte dello Stato del trattamento maturato dal lavoratore con l’obiettivo di arrivare almeno a mille euro di assegno.

Blocco aumento età pensionabile

In gioco è anche l’eliminazione del meccanismo che lega l’età pensionabile e gli altri requisiti contributivi alla speranza di vita. Si tratta di quel congegno in base al quale l’Istat calcola l’incremento della vita media e automaticamente il ministero del Lavoro è tenuto a far salire le condizioni di età e di contribuzione per l’accesso alle molteplici forme pensionistiche.

In piazza per chiedere la riforma delle pensioni (repertorio)
In piazza per chiedere la riforma delle pensioni (repertorio)